Quando si è piccoli ci si pensa e ci si sente “il centro del mondo”, perché quando nasciamo non c’è confine tra sé e mondo: siamo (già) statə “tutto”, nei 9 mesi passati all’interno del corpo delle nostre madri, e dopo la nascita quel confine si forma lentamente, progressivamente, e se si forma troppo lentamente, crescere si accompagna al sentirsi sempre più terribilmente responsabili di tutto, e si diventa insicuri di sé non più soltanto per scarsa esperienza del mondo, ma anche perché il peso di questa sopravvalutazione della nostra responsabilità rende ogni scelta molto complicata, col rischio del senso di colpa sempre in agguato, anche se questo è temporaneamente compensato dalla coscienza di sapere poco del mondo, quando si è abbastanza grandi per averla e ancora, del mondo, si conosce poco.
A volte, crescendo, ci si ridimensiona, attraverso passaggi spesso anche molto dolorosi, ridimensionando anche la percezione della propria responsabilità, e diventando così più capaci, perché meno appesantiti dal senso di responsabilità e al tempo stesso più coscienti del mondo, di scegliere e di svoltare cose nostre brutte – brutti pensieri, brutte emozioni e parole, brutti atti – in cose belle come piantare alberi, prendere i mezzi di produzione e le terre coltivate per socializzarli e salvare la nostra specie dall’estinzione, ecc.
Spesso però, in particolare se da piccoli si è stati troppo responsabilizzati anche dall’esterno (genitori, insegnanti) e se troppo presto ci si è trovati, anche solo per racconto, ad avere troppa conoscenza del mondo e dei suoi mali, si continua invece a pensarsi “il centro del mondo”, e in un modo sempre più sofferto, perché sempre più carico di conoscenza dello stesso, e quindi sempre più sollecitato sul piano della responsabilità; al punto che, come spesso avviene, si può finire per mandare affanculo tutto o quasi tutto, lasciandosi andare alla stronzaggine a venire, quando non anche a quella che si era evitata in passato; oppure si può finire per affezionarsi a questo sentirsi “il centro del mondo” perché, nonostante nel mondo il male sia tanto, e spesso sembri vincere, e nonostante l’idea di esserne più responsabili di quanto lo si è realmente ingigantisca i sensi di colpa, lascia aperta la possibilità illusoria di “cambiare tutto cambiando sé stessi”, o quantomeno una percezione esagerata del portato reale dei nostri cambiamenti individuali, che non di rado sfiora il delirio di onnipotenza.
Resta comunque molto difficile arrivare a sentirsi davvero soltanto 1 tra 8 miliardi di abitanti del pianeta (vedi la striscia di Bloom County qua sotto), e probabilmente non è neanche un male.