Cani e gatti sciolti, il mio ricordo di Genova G8 2001

Antefatto: ero ancora in analisi, dal ’96 mi pare: 4 incontri a settimana. Avevo 25 anni, ora ne ho 45. Avevo detto alla mia analista che con un amico, F., sarei andato a Genova per partecipare alle manifestazioni contro il G8. L’intenzione era di andare il 19 luglio, il giorno del corteo dei migranti, e fare 19, 20 e 21. Non ricordo cosa disse lei di questo progetto, probabilmente niente (facevo analisi “classica”, “freudiana”, steso sul lettino con lei alle spalle, spessissimo non diceva niente su quel che dicevo e raccontavo), ma quando le chiesi esplicitamente “Lei ci sarà?” mi rispose “Ah io no!” con un tono da “Fossi matta!” che mi dette fastidio. Tempo dopo seppi che suo marito, anche lui analista freudiano, col quale lei condivideva appartamento e studio nello stesso palazzo, era andato a Genova con un gruppo organizzato di psicologi, anche con pazienti mi pare.

Non ricordo per che motivo, non partiamo il 19 mattina ma la mattina seguente, il 20. Il corteo dei migranti del 19 è stato bello partecipato e tranquillo, e noi siamo abbastanza tranquilli. Del viaggio di andata ricordo solo che col mio amico ci sedemmo per caso in un vagone su cui la maggioranza delle persone erano del centro sociale Vittoria, che allora (forse anche adesso) stava in via Muratori a Milano. Ricordo che a un certo punto un compagno del Vittoria ci dette delle mascherine leggere, tipo le FFP1 di adesso, “per difendervi dai gas, facile che ci saranno”. Per il resto situazione nostra, mia e del mio amico, che mi pare di ricordare un po’ tesa, emozionata, ma in chiave di presa bene.

Il treno viene fermato prima della stazione di destinazione, non ricordo con che motivazione. Scendiamo a questa stazioncina di periferia genovese già tuttə un pochetto più in tensione per via di questo imprevisto. Io e il mio amico aiutiamo altri a portare confezioni da 6 di bottiglie d’acqua. Prendiamo un autobus e l’autista ci fa scendere vicino a piazzale Kennedy. Girelliamo lì intorno, soprattutto intorno e dentro piazza Rossetti, dove ci sono vari stand tra cui alcuni di Rifondazione Comunista. Ricordi vari. Una mucca di agricoltori francesi nel pratino della piazza, dico al mio amico che mi ricorda la mucca allucinatoria che vede uno dei personaggi de L’odio di Kassovitz, ridiamo. Un ragazzo in fuga da un manipolo di rifondaroli incazzati, io e il mio amico appoggiati a delle transenne, il ragazzo corre nella nostra direzione, qualcuno dal manipolo grida “Bloccatelo, non fatelo passare!”, noi vediamo che sono tipo 10 contro 1, spostiamo una transenna e lasciamo passare il ragazzo, inseguito ancora da 2 o 3 del manipolo se li lascia sempre più abbondantemente dietro, gli altri del manipolo si fermano da noi, “Stronzi quello ha fatto…” non ricordo cosa, “Be’ noi abbiamo visto che eravate 10 contro 1” dico, il mio amico che studia psicologia accenna un discorso sulla psicologia delle masse, dopo poco il manipolo se ne va. Riprendiamo a girellare. Ci spostiamo all’inizio di via Rimassa. Lì ci sono 4 o 5 tizi tutti vestiti di nero che cercano di svellere delle assi messe davanti a dei negozi. Qualche fotografo fotografa. Qualcuno da lontano gli urla “Ma che fate? Smettetela!”. Noi proseguiamo un po’ lungo via Rimassa, ma a un certo punto torniamo indietro perché più avanti vediamo in lontananza del fumo e un fotografo ci dice che “C’è casino”. Torniamo a piazza Rossetti, dove la situazione pare più tranquilla, ma poco dopo vediamo che un sacco di polizia si schiera, uomini in fila e qualche tank di quelli blu, davanti alla rotonda 9 novembre. Un po’ di gente si siede davanti allo schieramento, a una ventina di metri. Ci sediamo anche noi. Ci sono 2 o tre giocolieri che, qualche passo più avanti, giocolierano. Uno prende una buccia di banana e la mette un po’ più avanti, come a dire “Se partite occhio che scivolate” ai poliziotti, noi ridiamo. Poco dopo parte la carica, i tank un po’ più veloci della corsa dei poliziotti appiedati, qualcuno dice “Non spostiamoci!”, chi prima chi dopo ci spostiamo tuttə perché questi non sembrano avere la minima intenzione di fermarsi; per un po’, con altrə, corriamo insieme ai poliziotti appiedati dietro ai tank, gridando insulti vari, stanno correndo, tank e poliziotti, verso gli ingressi a piazzale Kennedy e piazzale Cavalieri di Vittorio Veneto, dove sono più o meno asserragliate un sacco ma un sacco di persone di varie realtà (tra le quali mi pare Cobas, o qualche altra sigla sindacale), io mando un bacio d’odio a un poliziotto che mi sta guardando, “Bravo sei fortissimo!” gli grido con ironia rabbiosa. Dopo un po’ questi ci lasciano indietro. Da lontano vediamo che han sfondato gli ingressi dei due piazzali. “Sono pazzi!” ci diciamo. Fumo di lacrimogeni dentro. Un fottio di gente. Elicotteri sopra la testa. Chi riesce sciama, esce dal piazzale. I poliziotti menano. Ci allontaniamo, torniamo dentro piazza Rossetti, giriamo un po’ lì, scambiamo qualche parola con chi è lì, poi proseguiamo verso l’interno di Genova, probabilmente per via Finocchiaro Aprile, o per via Magnaghi. I ricordi si diradano. Camminiamo un sacco, situazione abbastanza tranquilla, dopo un po’ più tranquilli anche noi. Vediamo vie chiuse da alti sbarramenti di metallo, altre da container. Incontriamo gente di Genova che non riesce a tornare alle proprie case. Vari gruppi di manifestantə sparsə, alcunə di uno di questi gruppi ci danno qualcosa da mangiare e da bere (del formaggio, del pane e due birre mi pare). A un certo punto ci troviamo davanti alla stazione Brignole. Passiamo tra un container e il muro e entriamo in piazza Verdi. Pochissima gente. Sulla sinistra della stazione ci sono dei container, andiamo verso i container pensando di riuscire a passare anche lì e proseguire poi verso sinistra, sperando di trovare un qualche corteo cui unirci, ma non sappiamo bene dove stiamo andando. Arrivati a una decina di metri dai container vediamo che c’è un manipolo di poliziotti lì dietro. Ci vedono, ormai ci han visti, ci pensiamo fottuti, ma paiono “tranquilli”, niente caschi addosso, sembra cazzeggino tra loro. Decidiamo che se svoltassimo e ce ne andassimo sarebbe più pericoloso, e quindi di proseguire verso di loro e, se ci chiedono qualcosa, di dirgli che vogliamo solo passare per unirci a qualche corteo pacifico. Quello che sembra il capo ci ferma, ci prende in giro, “Dove pensate di andare?”, “Stiamo cercando di unirci a un corteo pacifico”, un suo sottoposto enorme si mette di fronte a noi e ci sbraita in faccia “Nun ce dovevate venì qui perché ve ce ammazziamo! Ve ce ammazziamo!”, il capo ordina a un altro suo sottoposto di portarci dietro uno dei container e perquisirci, andiamo col sottoposto che nel frattempo estrae il manganello e agitandolo, una volta che siam fermi dietro il container, ci intima di togliere gli zaini e svuotarli davanti a lui. Eseguiamo, piuttosto impauriti, ma riusciamo a dire che non c’è bisogno del manganello, lui si indurisce di più, ci tratta sempre peggio. Svuoto il mio zaino prima del mio amico. Ne esce la mascherina datami dal compagno del Vittoria sul treno. “E questa che cazzo è?” urla il poliziotto e mi tira una manganellata sul ginocchio. Non fa molto male ma mi spaventa un po’ di più. “Prendila!”, mi piego di nuovo, la prendo, mi rimetto dritto, manganellata sul polso, “CHE CAZZO È QUESTA?”, gridando più forte, “È una mascherina da bricolage che ci han dato sul treno per difenderci dai lacrimogeni”, e poi non ricordo bene ma diciamo che parlando con odiata deferenza al poliziotto quello alla fine ci molla e ci lascia pure passare. Passiamo. Io un po’ sotto per quel che è successo. Altri giri in giro, molta più gente ora. A un certo punto ci troviamo davanti a un ponte sul torrente Bisagno. Sul ponte ci sono poliziotti e tank. All’inizio del ponte un bel po’ di gente sta mettendo in piedi barricate. Ricordo due freakkettoni psichedelici che suonano dei bonghetti intanto, con aria divertita, e un monaco buddista di rosso vestito che passa. Noi stiamo nei dintorni, indecisi se prendere parte alla costruzione della barricata o allontanarci, a un certo punto un ragazzo con una maglietta legata intorno alla bocca, che sta andando verso la barricata, ci incalza dicendo che “Hanno ammazzato un ragazzo, dobbiamo fargliela pagare”, e prosegue. Io ho un momento di profondissimo sconforto. Mi siedo sul marciapiede. “Che cazzo vuol dire che hanno ammazzato un ragazzo, che senso ha? Che senso ha?”. Non ho una reazione di rabbia, ho sul momento una reazione di annichilimento. Il mio amico mi si siede a fianco, “Cerchiamo di capire meglio cos’è successo” mi dice, ci rialziamo, cerchiamo di parlare con qualcunə intorno ma poco dopo parte la carica della polizia, tank e poliziotti, dal ponte, scappiamo con altrə, scappiamo scappiamo inseguiti dai tank e dai poliziotti, per viuzze strette, tutte in salita, vediamo qualcunə che non ce la fa più a correre scavalcare cancelli per entrare in cortili, continuiamo a correre, quelli sempre dietro, finché dopo un po’ non li vediamo più. Siamo con un gruppo di ragazzə giovanə, siamo contenti di averla scampata, ridiamo e parliamo un po’ con loro. Poi cerchiamo di tornare da dove siamo partiti, torniamo verso il mare e arriviamo di nuovo a piazza Rossetti, dove la situazione ora pare tranquilla, entriamo in piazzale Kennedy-Cavalieri di Vittorio Veneto dove ora c’è molta meno gente, rispetto alla mattina, ma comunque ce n’è un bel po’, incontriamo un amico che è in comunità da Don Gallo ed è lì con un gruppo suo, di Don Gallo, ci facciamo le feste, c’è una banca che brucia su corso Marconi, commentiamo, “Che delirio!”, ridiamo, “Ma dai insomma stiamo bene, ma il ragazzo che è morto?”, ci dice M. il nostro amico che forse è un punkabbestia, non sa bene nemmeno lui, non si sa bene, “Porco dio, che merde, che merde!”, arrivano i pompieri spengono l’incendio, con il nostro amico M. ci salutiamo, continuiamo a girare in piazzale Kennedy-Veneto, c’è il concerto di Manu Chao, a un certo punto – non ricordo se prima o dopo il concerto – c’è questa cosa allucinante, nel piazzale montano una specie di gazebone bianco, luci forti accese puntate sullo spazio sotto il gazebone, telecamere, parte una diretta di Gad Lerner che vuole fare tipo il punto della situazione, personaggi vari che non so, non ricordo se ne conoscessi riconoscessi, c’è una contestazione in diretta di alcune ragazze, noi le sosteniamo, gridiamo “Siete assurdi!” e altro, è tutto assurdo, questi in doppiopetto calati da chissà dove a pretendere di fare il punto della situazione, ce ne andiamo, torniamo in strada davanti a piazza Rossetti, c’è un assurdo divertente passarci a calci una bottiglia d’acqua mezza vuota con altrə per almeno un’oretta, è notte, sarà tipo l’una, proviamo a dormire, ci stendiamo nel prato di piazza Rossetti, io non riesco a chiudere occhio, il mio amico si, a un certo punto partono gli innaffiatori automatici del prato, svegliano di soprassalto i dormienti, le dormienti, dico al mio amico un po’ impanicato da quel risveglio che sono gli idranti della polizia, ridacchiamo, tuttə ci spostiamo dal prato, non ricordo poi bene. Del 21 mattina non ricordo niente, mi sa che è lì che son riuscito a dormire un po’, il mio amico credo abbia continuato, ricordo a un certo punto siam riusciti a mangiare qualcosa, boh. Più tardi c’è il corteo del 21. Andiamo sul lungomare, risaliamo lungo corso Italia insomma, in controsenso rispetto al corteo che sta scendendo, lo risaliamo un po’, la situazione sembra tranquilla, a parte gli onnipresenti elicotteri, manifestantə pacifichə gridano “Assassini!, Assassini!” un po’ al vento un po’ agli elicotteri, anche noi. Incontriamo un mio amico che da poco è uscito dai disobbedienti, scambiamo un abbraccio e due parole, ci salutiamo, poco dopo la situazione si intesisce di nuovo, gira voce che più avanti, ovvero più indietro nel corteo, stiano menando, invertiamo rotta, cominciamo a ridiscendere lungo corso Italia, svelti sempre più svelti, e più avanti vediamo in lontananza, di nuovo davanti alla rotonda 9 novembre, un botto, ma un botto di polizia schierata con tank camionette ecc. Alle nostre spalle ormai è il panico, davanti un botto di polizia e cominciano a lanciare i primi lacrimogeni, è chiaro che vogliono spezzare il corteo, tiriamo dritti verso lì, partecipiamo un po’ al tentativo di resistere, tiriamo indietro qualche lacrimogeno a calci, coperti con le magliette intorno alla bocca a tratti, a tratti anche no, respiriamo un sacco di lacrimogeno, ci spremiamo limoni sul volto passiamo limoni, un gruppo sta sfondando quel che resta delle vetrine della banca data alle fiamme il giorno prima, parte la carica che spezzerà il corteo, scappiamo verso il centro, ci perdiamo!, io e il mio amico, non lo vedo più, io o lui non abbiamo cellulare, forse nessuno dei due, il resto è fuga e fuga verso nord, quando la situazione torna un po’ più tranquilla (niente sbirri niente tank con gli idranti alle calcagna) faccio amicizia con uno un po’ sperso come me, con lui poi ci aggreghiamo a un gruppo, non ricordo bene come alla fine riusciamo a prendere un treno e tornare a Milano, non ricordo se col mio amico ci sentiamo già quella sera per telefono o il giorno dopo.

Riuscii a piangere per la morte di Carlo Giuliani solo a partire da una settimana dopo, ascoltando una poesia che aveva scritto dedicata ai suoi genitori, in un video che non ricordo più come si intitolasse né di chi fosse, e poi ancora in altre occasioni, e mi capita ancora, ogni anno, in questi giorni, che mi vengano i lucciconi.

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