Azoto di sintesi

Da Il dilemma dell’onnivoro, di Michael Pollan

La scoperta dell’azoto di sintesi ha rivoluzionato molte cose: non solo nella coltivazione del mais, non solo nella catena alimentare, ma nel modo stesso in cui si svolge la vita sulla terra. L’azoto è fondamentale nei cicli biologici, perché è il mattone con cui in natura si costruiscono aminoacidi, proteine e acidi nucleici: l’informazione genetica che dirige e fa replicare i viventi è scritta con questo elemento (ecco perché si dice che l’azoto rappresenta la qualità della vita e il carbonio la quantità). Ma le riserve di azoto disponibili sul nostro pianeta sono limitate. Anche se costituisce circa l’ottanta per cento dell’atmosfera, l’azoto allo stato naturale si trova in forma di molecola inerte, costituita da due atomi strettamente legati tra loro, e dunque inutilizzabile. Nelle parole del celebre chimico ottocentesco Justus von Liebig, l’azoto atmosferico è «indifferente a tutte le altre sostanze». Per essere di una qualche utilità a piante e animali, questi atomi egocentrici devono essere separati e uniti all’idrogeno, in modo da poter formare molecole sfruttabili dagli esseri viventi: in chimica, questo processo si definisce «fissazione». Fino al 1909, quando Fritz Haber, un chimico tedesco di origine ebraica, scoprì il trucco giusto, tutto l’azoto sfruttabile sulla terra era stato sicuramente fissato da certi batteri che vivono sulle radici delle leguminose (come ad esempio i piselli, l’erba medica o la soia), o più raramente da un fulmine, la cui corrente è in grado di spezzare gli atomi di azoto nell’aria, facendoli ricadere al suolo come una fertile pioggia.

«Non c’è modo di far crescere piante o uomini senza azoto» scrive il geografo Vaclav Smil nella sua affascinante biografia di Fritz Haber (intitolata Enriching the Earth). Prima del 1909, la quantità totale di vita che la terra poteva sostenere – ossia l’estensione delle aree coltivate e il numero di esseri umani – era limitata dalla quantità di azoto fissata dai batteri e dai fulmini. All’inizio del Novecento, in Europa ci si accorse che se non si fosse aumentata la disponibilità di questo elemento la crescita della popolazione umana avrebbe presto subìto una dolorosa battuta d’arresto. Qualche decennio dopo la Cina arrivò alle stesse conclusioni, ed è probabilmente per questo motivo che decise di aprirsi all’Occidente: dopo il primo viaggio di Nixon nel 1972, il governo cinese commissionò subito alle ditte americane l’apertura di tredici colossali fabbriche di fertilizzanti, senza le quali, forse, il paese si sarebbe ridotto alla fame.

Ecco perché Smil potrebbe non essere così lontano dal vero quando afferma che l’invenzione più importante del ventesimo secolo è stata il processo Haber-Bosch (Carl Bosch ebbe il merito di rendere sfruttabile commercialmente l’idea di Haber). Secondo le sue stime, senza l’invenzione del chimico tedesco due abitanti del pianeta su cinque non sarebbero vivi, oggi. È possibile, dice Smil, immaginare la terra senza computer, o energia elettrica, ma senza i concimi di sintesi miliardi di individui non sarebbero neppure venuti al mondo. Anche se, come suggeriscono questi numeri, quando Haber ci ha dato il potere di fissare l’azoto abbiamo forse stretto con la natura un patto faustiano.

Ma chi era Fritz Haber? Nessuno (me compreso) sembra conoscere questo signore, nonostante abbia ricevuto il Nobel nel 1920 per «avere migliorato gli standard dell’agricoltura e aumentato il benessere dell’umanità». La sua scarsa notorietà ha a che fare non tanto con il suo lavoro, quanto con certi lati sgradevoli della sua biografia, che porta echi dell’ambiguo rapporto tra industria bellica e agricoltura moderna. Haber si gettò anima e corpo nella prima guerra mondiale, e con la sua abilità di chimico tenne vive le speranze di vittoria tedesche. Quando la Gran Bretagna bloccò i rifornimenti di nitrati dalle miniere del Cile (i nitrati sono essenziali per fabbricare gli esplosivi), il metodo Haber permise di continuare la produzione di bombe grazie ai composti azotati di sintesi. Quando la guerra si incagliò nelle trincee del fronte francese, il nostro mise il suo genio al servizio della produzione di gas tossici, come ammoniaca e cloro (in seguito fu anche l’ideatore dello Zyklon-B, il gas utilizzato nei campi di concentramento nazisti). A quel che scrive Smil, il 22 aprile 1915 Haber era al fronte, e comandava il primo attacco con i gas della storia. Il suo ritorno trionfale a Berlino ebbe una coda amara: pochi giorni dopo, sua moglie, anche lei chimica, disgustata dal ruolo del marito nella guerra si sparò con la sua pistola di ordinanza. Haber si era convertito al cristianesimo, ma a causa delle sue origini ebraiche fu costretto a lasciare la Germania negli anni Trenta; morì, senza un soldo, in un albergo di Basilea nel 1934. Forse perché la storia è sempre scritta dai vincitori, il nome di Fritz Haber è praticamente sparito dalla scienza del ventesimo secolo. Non c’è neppure una targa che ricordi il luogo dove avvenne la sua celebre scoperta, all’Università di Karlsruhe.

Le vicende del chimico tedesco sono emblematiche dei paradossi della scienza, dell’arma a doppio taglio rappresentata dal controllo della natura, del bene e del male che possono scaturire da un individuo e dalle sue conoscenze. Haber ha donato al mondo una fonte vitale di fertilità e una terribile arma: come sottolinea il suo biografo, furono «la stessa scienza e lo stesso uomo» a fare entrambe le cose. Eppure questa contrapposizione tra il benefattore dell’agricoltura e il chimico guerrafondaio è un po’ troppo semplicistica, perché anche l’opera «benefica» di Haber ha rivelato indubbiamente non pochi lati negativi.

Quando l’uomo ha acquisito la capacità di fissare l’azoto, la fertilità del suolo ha cessato di dipendere esclusivamente dall’energia solare ed è entrata nell’orbita dei combustibili fossili. Il processo di Haber-Bosch, infatti, prevede che azoto e idrogeno vengano fatti reagire, alla presenza di un catalizzatore, a temperatura e pressione colossali. Queste si raggiungono grazie a enormi consumi di energia elettrica [che a livello mondiale è prodotta per il 63.3% da combustibili fossili, mentre l’energia in generale lo è per l’84.3%], mentre l’idrogeno si ricava dal petrolio, dal carbone o, più comunemente ai giorni nostri, dal gas naturale: cioè dai combustibili fossili. È vero che miliardi di anni fa queste fonti di energia furono create a partire da quella solare, ma non sono certo rinnovabili allo stesso modo in cui lo è un campo reso fertile dall’azoto fissato dai legumi che crescono grazie alla luce diretta del sole (o meglio, dai batteri che vivono sulle radici dei legumi, e che barattano l’azoto necessario alla pianta con una piccola quantità di zuccheri).

Quell’imprecisato giorno degli anni Cinquanta in cui il padre di George Naylor sparse sul suo campo il primo sacco di fertilizzante a base di nitrato d’ammonio, nella sua fattoria iniziò una silenziosa rivoluzione ambientale. Il ciclo locale, a base solare, in cui i legumi nutrivano il mais, che nutriva il bestiame, che a sua volta nutriva il mais (grazie al concime), si era spezzato. Da quel momento, egli poteva seminare granturco tutti gli anni e su tutto il terreno che voleva, perché non aveva più bisogno di legumi o di letame. La fertilità si comprava a sacchi e veniva da molto lontano nel tempo e nello spazio.

Liberata dai vecchi vincoli biologici, la fattoria si può ora condurre con criteri industriali: è diventata una fabbrica che trasforma materie prime (i fertilizzanti chimici) in prodotti lavorati (il mais). Poiché non è più necessario generare e conservare la fertilità dei campi con rotazioni e uso di varie specie, si apre la strada alla monocoltura, ed è possibile trasferire alla natura i princìpi industriali dell’economia di scala e della meccanizzazione. Se è vero, come si dice, che l’agricoltura è stata la prima caduta dell’uomo dal suo stato naturale, la scoperta dei concimi di sintesi è stato un secondo, precipitoso scivolone. La fissazione chimica dell’azoto ha fatto sì che la catena alimentare voltasse le spalle alla ragione biologica e abbracciasse quella industriale. Anziché attingere esclusivamente alla fonte solare, l’umanità ha iniziato a bere i primi sorsi di petrolio.

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