Genetica, epigenetica e concezione anarchica del vivente

Da La concezione anarchica del vivente,
di Jean-Jacques Kupiec (elèuthera, 2021),
6.3. L’epigenetica risolve i problemi della genetica

Ai giorni nostri, quando la spiegazione genetica viene colta in fallo, il ricorso all’epigenetica e all’ambiente è diventato un leitmotiv, una sorta di formula magica che si ritiene in grado di risolvere le difficoltà. È incontestabile che l’ambiente e le modificazioni della cromatina dette epigenetiche sono fattori importanti, ma la questione è sapere in che modo influenzano il funzionamento cellulare. Di solito la loro azione è interpretata in un sistema di pensiero informazionale e deterministico. Ci troviamo allora di fronte allo stesso problema presentato dal determinismo genetico. In che modo i fattori epigenetici o quelli ambientali possono esercitare un effetto specifico se gli effettori proteici che dovrebbero veicolarli nelle cellule non lo fanno? Prendiamo un esempio concreto. Il lievito Saccharomyces cerevisiae modifica il proprio comportamento o funzionamento in risposta a segnali ambientali differenti. Si tratta ad esempio della risposta a un feromone sessuale, a un cambiamento di pressione osmotica nell’ambiento o a una crescita filamentosa. Ma in tutti questi casi il lievito usa le stesse proteine non-specifiche. Come può in queste condizioni discriminare tra segnali differenti e ottenere una risposta adeguata? La questione del determinismo ambientale si pone con la stessa gravità riscontrata nel determinismo genetico. Di per sé, invocare l’influenza dell’ambiente non è una soluzione: adesso i determinismi problematici sono due!

La concezione anarchica diverge in maniera netta dall’epigenetica, così come viene abitualmente concepita, perché rinuncia all’idea di un supporto stabile dell’ereditarietà contenuto nei geni, e perché considera l’ontogenesi non come una diversificazione o un’interpretazione dell’informazione genetica, ma come una restrizione del gioco probabilistico del vivente. In questo quadro, l’azione dell’ambiente non è più quella di indurre effetti in maniera deterministica, ma quella di selezionare gli stati cellulari aleatori per la loro stabilizzazione. Perciò la non-specificità delle proteine non è più un problema. Diventa possibile integrare i ruoli delle modificazioni della cromatina: esse non sono un codice epigenetico portatore di informazioni. Sono gli effettori biochimici a consentire la stabilizzazione della cromatina.

Darwinismo e anarchia

Da La concezione anarchica del vivente,
di Jean-Jacques Kupiec (elèuthera, 2021)

Capitolo sesto
Risposta ad alcune obiezioni

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6.4 Il darwinismo non è anarchico

Associare il darwinismo e l’anarchia nello stesso quadro concettuale potrebbe essere fonte di malintesi che vanno evitati. Una prima precisazione si impone. Quando si fa riferimento al darwinismo per spiegare i meccanismi di embriogenesi non si tratta evidentemente di trasferire il meccanismo preciso della selezione naturale così come viene descritto da Darwin. Si tratta piuttosto di recuperare in primis l’ontologia e la specifica causalità introdotte da Darwin, le quali forniscono un nuovo quadro generale per pensare l’ontogenesi. D’altronde, il meccanismo della selezione naturale non era del tutto precisato in Darwin, dal momento che all’epoca non erano completamente note le modalità della variazione. I biologi di solito fanno riferimento al darwinismo in senso lato quando traspongono la selezione naturale al di fuori del suo originale ambito di applicazione. Che sia nella teoria clonale degli anticorpi o nel darwinismo neuronale citati in precedenza, o ancora nel modello anarchico della differenziazione cellulare, il riferimento al darwinismo indica uno schema generale comune e non un’analogia dei meccanismi in senso stretto, cosa che sarebbe assurda. In ognuno di questi casi quel che si intende esattamente con variabilità e selezione è differente. Del resto, fin dall’inizio l’utilizzo del concetto di «selezione» da parte di Darwin era metaforico.

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