Da «Gli otto peccati capitali della nostra civiltà», di Konrad Lorenz

La vita organica si è posta, come una strana diga, nel mezzo della corrente dissipatrice dell’energia universale: essa “divora” entropia negativa e cresce attirando a sé energia; man mano che cresce essa acquista la possibilità di accaparrarsi sempre più energia con un ritmo la cui velocità è direttamente proporzionale alla quantità assorbita. Se tali fenomeni non hanno ancora condotto al soffocamento e alla catastrofe, ciò è dovuto anzitutto al fatto che le forze impietose del mondo inorganico, le leggi della probabilità, mantengono entro certi limiti l’incremento degli esseri viventi; ma in secondo luogo anche al formarsi, nell’ambito delle diverse specie, di circuiti regolatori.


L’adattamento delle diverse specie viventi ha richiesto tempi che rispondono all’ordine delle ere geologiche, non a quelle della storia dell’uomo, e ha raggiunto uno stadio tanto ammirevole quanto delicato. Molti meccanismi regolatori proteggono tale equilibrio contro le inevitabili perturbazioni dovute a ragioni climatiche e di altro genere. Tutte le modificazioni che si instaurano lentamente, come quelle provocate dalla evoluzione della specie o da graduali alterazioni del clima, non costituiscono un pericolo per l’equilibrio di uno spazio vitale. Una modificazione improvvisa, invece, per quanto possa sembrare di scarso rilievo, può produrre effetti sbalorditivi e anche catastrofici. L’introduzione di una specie animale apparentemente del tutto innocua può provocare la letterale devastazione di ampie zone di terra, come è avvenuto in Australia in seguito al diffondersi dei conigli. In questo caso l’intervento nell’equilibrio di un biotopo è avvenuto per opera dell’uomo; gli stessi effetti sono tuttavia teoricamente possibili anche senza il suo intervento, sebbene si tratti di una eventualità più rara.


Basta confrontare con occhi spassionati il vecchio centro di una qualsiasi città tedesca con la sua periferia moderna, oppure quest’ultima, vera lebbra che rapidamente aggredisce le campagne circostanti, con i piccoli paesi ancora intatti. Si confronti poi il quadro istologico di un tessuto organico normale con quello di un tumore maligno, e si troveranno sorprendenti analogie! Se consideriamo obiettivamente queste differenze e le esprimiamo in forma numerica anziché estetica, constateremo che si tratta essenzialmente di una perdita di informazione.

La cellula neoplastica si distingue da quella normale principalmente per aver perduto l’informazione genetica necessaria a fare di essa un membro utile alla comunità di interessi rappresentata dal corpo. Essa si comporta perciò come un animale unicellulare o, meglio ancora, come una giovane cellula embrionale: è priva di strutture specifiche e si riproduce senza misura e senza ritegni, con la conseguenza che il tessuto tumorale si infiltra nei tessuti vicini ancora sani e li distrugge. Tra l’immagine della periferia urbana e quella del tumore esistono evidenti analogie: in entrambi i casi vi era uno spazio ancora sano in cui era stata realizzata una molteplicità di strutture molto diverse, anche se sottilmente differenziate tra loro e reciprocamente complementari, il cui saggio equilibrio poggiava su un bagaglio di informazioni raccolto nel corso di un lungo sviluppo storico; laddove nelle zone devastate dal tumore o dalla tecnologia moderna il quadro è dominato da un esiguo numero di strutture estremamente semplificate. Il panorama istologico delle cellule cancerogene, uniformi e poco strutturate, presenta una somiglianza disperante con la veduta aerea di un sobborgo moderno con le sue case standardizzate, frettolosamente disegnate in concorsi-lampo da architetti privi ormai di ogni cultura. Gli sviluppi di questa competizione dell’umanità con sé stessa esercitano sull’edilizia un effetto distruttivo.


La competizione fra gli uomini

Nel primo capitolo ho spiegato come e perché, nei sistemi viventi, la funzione dei circuiti regolatori, anzi, di quelli a retroazione negativa, sia indispensabile ai fini del mantenimento di uno stato costante; e inoltre come e perché la retroazione positiva, in un circuito, comporti sempre il pericolo di un aumento “a valanga” di un singolo effetto. Un caso specifico di retroazione positiva si verifica quando individui della stessa specie entrano in una competizione che, attraverso la selezione, ne influenza l’evoluzione. Al contrario della selezione causata da fattori ambientali estranei alla specie, la selezione intraspecifica modifica il patrimonio genetico della specie considerata attraverso alterazioni che non solo non favoriscono le prospettive di sopravvivenza della specie, ma, nella maggior parte dei casi, le ostacolano.

Un esempio già citato da Oskar Heinroth per illustrare le conseguenze della selezione intraspecifica è quello delle penne maestre del fagiano argo maschio. Durante la parata nuziale le penne vengono spiegate e dirette verso la femmina in atteggiamento analogo a quello del pavone quando fa la ruota con la parte superiore delle penne della coda. Per il pavone è stato dimostrato in modo sicuro che la scelta del compagno compete esclusivamente alla femmina, ed evidentemente lo stesso accade per l’argo; le prospettive di procreazione del maschio sono in pratica direttamente proporzionali alla forza di stimolo esercitata sulle femmine dalla sua livrea nuziale. Ma mentre le penne del pavone si ripiegano in uno strascico più o meno aerodinamico che non ostacola granché il volo, l’allungamento delle penne maestre dell’argo maschio rende questo animale quasi incapace di volare. Se tale inabilità non è diventata assoluta, ciò dipende certamente dalla selezione operata in senso opposto dai predatori terrestri che assicurano così il necessario effetto regolatore.

Il mio maestro Oskar Heinroth diceva, nel suo solito modo drastico: «Dopo lo sbatter d’ali del fagiano argo, il ritmo di lavoro dell’umanità moderna costituisce il più stupido prodotto della selezione intraspecifica». Al tempo in cui fu pronunciata, questa affermazione era decisamente profetica, ma oggi è una chiara esagerazione per difetto, un classico understatement. Per l’argo, come per molti altri animali con sviluppo analogo, le influenze ambientali impediscono che la specie proceda, per effetto della selezione intraspecifica, su strade evolutive mostruose e infine verso la catastrofe. Ma nessuna forza esercita un salutare effetto regolatore di questo tipo sullo sviluppo culturale dell’umanità; per sua sventura essa ha imparato a dominare tutte le potenze dell’ambiente estranee alla sua specie, e tuttavia sa così poco di sé stessa da trovarsi inerme in balìa delle conseguenze diaboliche della selezione intraspecifica. […]

La competizione fra uomo e uomo agisce, come nessun fattore biologico ha mai agito, in senso direttamente opposto a quella «potenza eternamente attiva, beneficamente creatrice»

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