La competizione fra gli uomini (K. Lorenz)

Da Gli otto peccati capitali della nostra civiltà, di Konrad Lorenz

La vita organica si è posta, come una strana diga, nel mezzo della corrente dissipatrice dell’energia universale: essa “divora” entropia negativa e cresce attirando a sé energia; man mano che cresce essa acquista la possibilità di accaparrarsi sempre più energia con un ritmo la cui velocità è direttamente proporzionale alla quantità assorbita. Se tali fenomeni non hanno ancora condotto al soffocamento e alla catastrofe, ciò è dovuto anzitutto al fatto che le forze impietose del mondo inorganico, le leggi della probabilità, mantengono entro certi limiti l’incremento degli esseri viventi; ma in secondo luogo anche al formarsi, nell’ambito delle diverse specie, di circuiti regolatori.

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Nel primo capitolo ho spiegato come e perché, nei sistemi viventi, la funzione dei circuiti regolatori, anzi, di quelli a retroazione negativa, sia indispensabile ai fini del mantenimento di uno stato costante; e inoltre come e perché la retroazione positiva, in un circuito, comporti sempre il pericolo di un aumento “a valanga” di un singolo effetto. Un caso specifico di retroazione positiva si verifica quando individui della stessa specie entrano in una competizione che, attraverso la selezione, ne influenza l’evoluzione. Al contrario della selezione causata da fattori ambientali estranei alla specie, la selezione intraspecifica modifica il patrimonio genetico della specie considerata attraverso alterazioni che non solo non favoriscono le prospettive di sopravvivenza della specie, ma, nella maggior parte dei casi, le ostacolano.

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Il mio maestro Oskar Heinroth diceva, nel suo solito modo drastico: «Dopo lo sbatter d’ali del fagiano argo, il ritmo di lavoro dell’umanità moderna costituisce il più stupido prodotto della selezione intraspecifica». Al tempo in cui fu pronunciata, questa affermazione era decisamente profetica, ma oggi è una chiara esagerazione per difetto, un classico understatement. Per l’argo, come per molti altri animali con sviluppo analogo, le influenze ambientali impediscono che la specie proceda, per effetto della selezione intraspecifica, su strade evolutive mostruose e infine verso la catastrofe. Ma nessuna forza esercita un salutare effetto regolatore di questo tipo sullo sviluppo culturale dell’umanità; per sua sventura essa ha imparato a dominare tutte le potenze dell’ambiente estranee alla sua specie, e tuttavia sa così poco di sé stessa da trovarsi inerme in balìa delle conseguenze diaboliche della selezione intraspecifica.

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La competizione fra uomo e uomo agisce, come nessun fattore biologico ha mai agito, in senso direttamente opposto a quella «potenza eternamente attiva, beneficamente creatrice».

Da «LSD. Il mio bambino difficile», di Albert Hofmann

L’impiego dell’LSD in Psicoterapia si basa principalmente sui seguenti effetti psichici: nell’alterazione da LSD la normale visione del mondo subisce una trasformazione e una disintegrazione profonde. Legato a questo è il fenomeno dell’attenuazione o anche della sospensione della barriera tra l’io e la realtà esterna. Quei pazienti che sono intrappolati all’interno di un circolo vizioso di natura egocentrica, possono perciò essere aiutati a superare le loro fissazioni e il loro isolamento. Come risultato si può osservare un miglioramento nel rapporto con il medico ed una maggiore sensibilità all’azione terapeutica. Lo stato di accresciuta influenzabilità sotto effetto di LSD contribuisce a raggiungere lo stesso scopo.

Un’altra caratteristica significativa e di grande valore psicoterapeutico dell’alterazione mentale provocata da LSD è la possibilità che contenuti d’esperienza rimossi e da lungo tempo dimenticati tornino di nuovo alla coscienza. Qualora la psicoanalisi cercasse di rintracciare eventi traumatici nella vita del paziente, questi potrebbero diventare accessibili al trattamento terapeutico. Numerosi casi individuali esaminati in contesto analitico sotto l’azione di LSD riferiscono di esperienze infantili rievocate con estrema chiarezza. Non si tratta qui del normale ricordo di, ma del rivivere un’esperienza passata; non una réminiscenze, bensì una réviviscence, come l’ha definita lo psichiatra francese Jean Delay.

L’LSD non agisce come farmaco in senso stretto; piuttosto svolge una funzione coadiuvante nel contesto della cura psicoanalitica e psicoterapeutica, offrendole una maggiore incisività e riducendone la durata. Questo può avvenire in due modi.

Nella prima procedura, nata e sviluppatasi nelle cliniche europee e conosciuta come terapia psicolitica, dosi medie di LSD sono somministrate in diverse sedute a intervalli regolari. Infine queste esperienze vengono discusse in gruppo e i pazienti sono poi invitati a darne espressione artistica attraverso il disegno e la pittura. Il termine “terapia psicolitica” fu stabilito da Ronald A. Sandison, medico inglese di scuola junghiana e pioniere della ricerca clinica con l’LSD. La radice ‘lysis’ significa scioglimento; in questo caso, scioglimento della tensione e dei conflitti nella psiche.

Nella seconda procedura, privilegiata negli Stati Uniti, una singola dose molto alta di LSD viene somministrata al paziente dopo intensa e profonda preparazione psicologica. Con questo metodo, conosciuto come terapia psichedelica, si cerca di provocare un’esperienza mistico-religiosa che una simile dose di LSD può comportare. Essa servirà poi, nel corso del successivo trattamento terapeutico, come punto di partenza per la cura e la ridefinizione della personalità del paziente. La parola psichedelico, che traduciamo ‘che manifesta l’anima’ oppure ‘che espande l’anima’, fu introdotta da Humphry Osmond, uno dei primi negli Stati Uniti a impiegare l’LSD nella ricerca psichiatrica.

I benefici che questo farmaco apporta in psicoanalisi e in psicoterapia derivano da proprietà che sono diametralmente opposte a quelle dei cosiddetti psicofarmaci ansiolitici. Mentre gli ansiolitici tendono a coprire i problemi e i conflitti del paziente, riducendone la gravità e l’importanza, l’LSD, al contrario, li fa vivere in maniera più intensa. È proprio questo aspetto di chiarificazione e di discernimento a renderli più facilmente soggetti all’intervento terapeutico.

I successi e l’opportunità della terapia psicoanalitica con impiego di LSD sono tuttora argomento di controversia all’interno della comunità scientifica. La stessa cosa potrebbe dirsi però delle altre procedure impiegate in psichiatria, quali l’elettroshock, la terapia insulinica o la psicochirurgia; questi metodi comportano un rischio maggiore rispetto all’uso di LSD, che date opportune condizioni è praticamente privo di pericoli.

Poiché esperienze rimosse o dimenticate possono riemergere con rapidità considerevole sotto l’effetto della sostanza, la durata del trattamento analitico può essere relativamente ridotta. Tuttavia, per alcuni psichiatri questo rappresenta uno svantaggio. Secondo loro non verrebbe dato al paziente il tempo necessario per sviluppare un lavoro terapeutico completo. L’effetto terapeutico, è loro opinione, ha minore durata rispetto a quando si è in presenza di un graduale lavoro analitico, che preveda un lento processo di consapevolezza delle esperienze traumatiche. Le sedute psicolitiche e in special modo psichedeliche richiedono una preparazione completa del paziente, per evitare lo sgomento che la vista di una realtà non familiare e sconosciuta può provocare. Solo allora questa esperienza può risultare positiva. Un altro aspetto importante è la selezione dei pazienti, poiché non tutti i tipi di disturbi psichici rispondono altrettanto bene a questi metodi di cura. L’impiego fruttuoso dell’LSD in psicoanalisi e in psicoterapia presuppone una conoscenza e un’esperienza specifiche.

Per questo motivo può risultare molto utile un’autosperimentazione da parte dello psichiatra, come già aveva indicato W.A. Stoll nella sua ricerca. Essa procura al medico una conoscenza diretta, un’esperienza non mediata della dimensione insolita dischiusa dall’LSD, offrendogli la possibilità di capire veramente questo fenomeno quando si manifesta nella psiche del paziente, di interpretarlo correttamente e di riceverne tutti i vantaggi.


Significativo quanto l’ambiente esterno, se non addirittura più importante, è lo stato psichico degli sperimentatori, la loro disposizione mentale nei confronti dell’esperienza e le aspettative rivolte a questa. Possono influire anche le impercettibili e inconsapevoli sensazioni di felicità o di paura. L’LSD tende a intensificare la reale condizione psicologica. Un sentimento di gioia può sfociare nella beatitudine, la depressione può precipitare nella disperazione. L’LSD è perciò lo strumento meno adatto in assoluto per lenire uno stato depressivo. È pericoloso somministrarlo in presenza di una situazione mentale disturbata e nei casi in cui uno stato d’infelicità o di paura sia predominante, perché la probabilità che il viaggio possa concludersi con un crollo psichico è abbastanza alta.

Individui con personalità labili, tendenti a reazioni incontrollate, dovrebbero assolutamente evitare la sperimentazione con questa sostanza, perché lo shock da LSD, portando a manifestazione una psicosi latente, può arrecare un danno psicologico duraturo.

Instabile, nel senso di una maturazione non ancora compiuta, è da ritenere anche la psiche di individui molto giovani. Lo shock che deriva dall’imponente afflusso di nuove e insolite sensazioni mette in pericolo inevitabilmente il delicato organismo psichico ancora in fase di formazione. Negli stessi ambienti medici l’uso dell’LSD a scopi psicoanalitici o psicoterapeutici con giovani che non abbiano compiuto i 18 anni viene, giustamente secondo la mia opinione, sconsigliato. Gli adolescenti più di tutto mancano di un sicuro e solido rapporto con la realtà, che è necessario perché la sconvolgente esperienza di nuove dimensioni della realtà possa essere integrata in maniera significativa entro la propria visione del mondo. Anziché accrescere e approfondire la consapevolezza della realtà, un’esperienza di tale natura può provocare negli adolescenti insicurezza e senso di smarrimento. Per la stessa vivacità delle percezioni sensoriali e la tuttora illimitata apertura alla vita i giovani vivono esperienze visionarie spontanee assai più frequentemente che nei più tardi periodi dell’esistenza. Questo è un motivo ulteriore per cui dovrebbero evitare l’assunzione di agenti psicostimolanti.

È possibile tuttavia che anche una persona adulta e in buona salute possa fallire un esperimento con l’LSD e soffrire di una crisi psicotica, nonostante vi sia stata una completa osservanza delle misure preparatorie e protettive di cui accennavo. L’assistenza di un medico, che includa un esame preliminare dello stato di salute, è pertanto vivamente consigliabile, anche nei casi in cui l’LSD non venga impiegato a scopi terapeutici. Benché non sia necessaria la sua presenza alla seduta, nondimeno dovrebbe essere sempre disponibile l’intervento di un professionista.

Insorgenze psicotiche gravi sono eliminate e tenute rapidamente sotto controllo mediante un’iniezione di clorpromazina o altro sedativo analogo.

La presenza di una persona amica, che possa richiedere l’aiuto di un medico in casi di emergenza, rappresenta un’altra indispensabile rassicurazione psicologica. Sebbene le alterazioni causate dall’LSD provochino un’immersione nel mondo interiore dell’individuo, nondimeno si affaccia talvolta il bisogno intenso di contatti umani, specialmente nelle fasi depressive.


Gottfried Benn, nel saggio Provoziertes Leben (“Vita provocata”) (apparso in: Ausdruckswelt, Limes Verlag, Wiesbaden, 1949), definisce la realtà in cui l’io e il mondo stanno l’uno di fronte all’altro come “la catastrofe schizoide, il destino nevrotico dell’occidente”. Così scrive:

L’attuale concetto di realtà ebbe origine nel sud del nostro continente. Determinante per la sua formazione fu il principio ellenistico-europeo dell’agóne e della vittoria conseguita attraverso la prestazione, l’astuzia, la perfidia, il talento e la forza, espresso all’inizio nella forma greca dell’aretè, e successivamente in quella europea del darwinismo e del superuomo. L’io venne allo scoperto, calpestò la terra, condusse battaglie e per far questo ebbe bisogno di strumenti, di materiali, di potere. Si pose di fronte alla materia come altro da essa; se ne distaccò con i sensi, ma ci stabilì un rapporto formale più stretto. La scompose, la esaminò e la classificò: armi, oggetti di scambio, denaro per riscattare. La spiegò mediante isolamento, la ridusse a formule, ne strappò dei frammenti, la suddivise. (La materia divenne) un concetto appeso come sciagura sopra l’Occidente, contro cui esso lottò, senza afferrarlo, a cui sacrificò un’ecatombe di sangue e di felicità, e le cui tensioni e fratture era ormai impossibile risolvere attraverso lo sguardo naturale e la conoscenza metodica dell’essenziale, quieta unità delle forme prelogiche dell’essere… invero, il carattere catastrofico di questo concetto venne alla luce in maniera sempre più evidente… uno stato, un’organizzazione sociale, una morale pubblica, per i quali la vita altro non è che esistenza sfruttabile economicamente, e che non accettano il mondo della vita provocata, non possono arrestare la sua distruttività. Una comunità, la cui igiene e tutela razziale, quali moderni rituali, si basano su vuote conoscenze biologico-statistiche, può solo difendere il punto di vista superficiale delle masse, nella cui osservanza conduce incessantemente le guerre, perché la realtà è per essa materia prima, rimanendole nascosto il suo presupposto metafisico.

Come sostiene Gottfried Benn in questo brano, il concetto di realtà che mantiene separati l’io e il mondo ha senza dubbio stabilito il corso evolutivo della storia intellettuale europea. Il mondo vissuto come materia inanimata e oggetto, a cui l’uomo sta di fronte in opposizione, ha prodotto la scienza moderna e la tecnica. E grazie al loro intervento, gli uomini hanno sottomesso la terra e hanno abusato del suo patrimonio; le imponenti realizzazioni della civiltà tecnologica si trovano faccia a faccia con il disastro ecologico. Questo intelletto che tutto oggettivizza è penetrato anche nel cuore della materia, il nucleo dell’atomo, e lo ha spaccato, liberando energie che minacciano le forme vitali del nostro pianeta.

Se l’uomo non si fosse separato dal mondo, ma avesse vissuto in armonia con la natura vivente e la creazione, mai sarebbe stato possibile un impiego sbagliato della conoscenza e dell’intelletto. Tutti gli attuali tentativi di provvedere ai danni causati attraverso misure di protezione ambientale risulteranno solamente rattoppi superficiali e senza speranza, se a essi non seguirà la cura di quello che Benn ha chiamato “il destino nevrotico dell’Occidente”. Guarire significa poter esperire la realtà profonda delle cose che tutto abbraccia, compreso il soggetto che vi partecipa.

Questo tipo di esperienza viene sempre più ostacolato in ambienti che mani umane hanno reso inanimato, nelle metropoli e nei paesaggi industriali delle nostre società. È qui che soprattutto si palesa il contrasto fra l’individuo e il mondo esterno. Sensazioni di alienazione, di solitudine, di minaccia si presentano incessantemente e dominano la coscienza quotidiana degli individui delle società industriali; esse prendono inoltre il sopravvento ovunque si estenda la civiltà della tecnica, e in larga misura influiscono sulla produzione dell’arte moderna e della letteratura.

Nell’ambiente naturale il pericolo di vivere una realtà frantumata è minore. Nei prati, nelle foreste e nel regno animale che vi si rifugia, ma anche in ogni giardino, si avverte una realtà infinitamente più vera e antica, più profonda e stupefacente di qualsiasi cosa gli uomini abbiano costruito, e che sarà sempre presente quando il mondo esanime delle macchine e del cemento si dileguerà di nuovo, si coprirà di ruggine e cadrà in rovina. Nella germinazione, nella crescita, nella fioritura, nella fruttificazione, nella morte e di nuovo nella comparsa dei primi germogli delle piante, nel loro rapporto con il sole, la cui luce esse trasformano in energia chimica sotto forma di composti organici, dai quali tutte le forme viventi del nostro pianeta provengono – nell’essenza propria delle piante, si manifesta la stessa misteriosa, inesauribile ed eterna energia vitale che ci ha generato e ci condurrà di nuovo nel suo ventre, dove saremo al sicuro e uniti con tutto il creato.

Non stiamo qui parlando di sentimentali utopie naturiste, di un “ritorno alla natura” in senso rousseauiano. Quel movimento romantico, che ricercava l’idìllio nel mondo naturale, rappresenta senz’altro il sentimento di un’umanità che ha visto scissi i propri legami con la natura. Ciò di cui oggi abbiamo bisogno è vivere di nuovo l’unione fondamentale con tutte le forme viventi, ed essere consapevoli della dimensione onnicomprensiva della realtà. Più sporadico risulterà lo sviluppo spontaneo di questa consapevolezza, più la flora e la fauna primigenie del pianeta dovranno sottomettersi a un ambiente tecnologico inanimato.

Da «Gli otto peccati capitali della nostra civiltà», di Konrad Lorenz

La vita organica si è posta, come una strana diga, nel mezzo della corrente dissipatrice dell’energia universale: essa “divora” entropia negativa e cresce attirando a sé energia; man mano che cresce essa acquista la possibilità di accaparrarsi sempre più energia con un ritmo la cui velocità è direttamente proporzionale alla quantità assorbita. Se tali fenomeni non hanno ancora condotto al soffocamento e alla catastrofe, ciò è dovuto anzitutto al fatto che le forze impietose del mondo inorganico, le leggi della probabilità, mantengono entro certi limiti l’incremento degli esseri viventi; ma in secondo luogo anche al formarsi, nell’ambito delle diverse specie, di circuiti regolatori.


L’adattamento delle diverse specie viventi ha richiesto tempi che rispondono all’ordine delle ere geologiche, non a quelle della storia dell’uomo, e ha raggiunto uno stadio tanto ammirevole quanto delicato. Molti meccanismi regolatori proteggono tale equilibrio contro le inevitabili perturbazioni dovute a ragioni climatiche e di altro genere. Tutte le modificazioni che si instaurano lentamente, come quelle provocate dalla evoluzione della specie o da graduali alterazioni del clima, non costituiscono un pericolo per l’equilibrio di uno spazio vitale. Una modificazione improvvisa, invece, per quanto possa sembrare di scarso rilievo, può produrre effetti sbalorditivi e anche catastrofici. L’introduzione di una specie animale apparentemente del tutto innocua può provocare la letterale devastazione di ampie zone di terra, come è avvenuto in Australia in seguito al diffondersi dei conigli. In questo caso l’intervento nell’equilibrio di un biotopo è avvenuto per opera dell’uomo; gli stessi effetti sono tuttavia teoricamente possibili anche senza il suo intervento, sebbene si tratti di una eventualità più rara.


Basta confrontare con occhi spassionati il vecchio centro di una qualsiasi città tedesca con la sua periferia moderna, oppure quest’ultima, vera lebbra che rapidamente aggredisce le campagne circostanti, con i piccoli paesi ancora intatti. Si confronti poi il quadro istologico di un tessuto organico normale con quello di un tumore maligno, e si troveranno sorprendenti analogie! Se consideriamo obiettivamente queste differenze e le esprimiamo in forma numerica anziché estetica, constateremo che si tratta essenzialmente di una perdita di informazione.

La cellula neoplastica si distingue da quella normale principalmente per aver perduto l’informazione genetica necessaria a fare di essa un membro utile alla comunità di interessi rappresentata dal corpo. Essa si comporta perciò come un animale unicellulare o, meglio ancora, come una giovane cellula embrionale: è priva di strutture specifiche e si riproduce senza misura e senza ritegni, con la conseguenza che il tessuto tumorale si infiltra nei tessuti vicini ancora sani e li distrugge. Tra l’immagine della periferia urbana e quella del tumore esistono evidenti analogie: in entrambi i casi vi era uno spazio ancora sano in cui era stata realizzata una molteplicità di strutture molto diverse, anche se sottilmente differenziate tra loro e reciprocamente complementari, il cui saggio equilibrio poggiava su un bagaglio di informazioni raccolto nel corso di un lungo sviluppo storico; laddove nelle zone devastate dal tumore o dalla tecnologia moderna il quadro è dominato da un esiguo numero di strutture estremamente semplificate. Il panorama istologico delle cellule cancerogene, uniformi e poco strutturate, presenta una somiglianza disperante con la veduta aerea di un sobborgo moderno con le sue case standardizzate, frettolosamente disegnate in concorsi-lampo da architetti privi ormai di ogni cultura. Gli sviluppi di questa competizione dell’umanità con sé stessa esercitano sull’edilizia un effetto distruttivo.


La competizione fra gli uomini

Nel primo capitolo ho spiegato come e perché, nei sistemi viventi, la funzione dei circuiti regolatori, anzi, di quelli a retroazione negativa, sia indispensabile ai fini del mantenimento di uno stato costante; e inoltre come e perché la retroazione positiva, in un circuito, comporti sempre il pericolo di un aumento “a valanga” di un singolo effetto. Un caso specifico di retroazione positiva si verifica quando individui della stessa specie entrano in una competizione che, attraverso la selezione, ne influenza l’evoluzione. Al contrario della selezione causata da fattori ambientali estranei alla specie, la selezione intraspecifica modifica il patrimonio genetico della specie considerata attraverso alterazioni che non solo non favoriscono le prospettive di sopravvivenza della specie, ma, nella maggior parte dei casi, le ostacolano.

Un esempio già citato da Oskar Heinroth per illustrare le conseguenze della selezione intraspecifica è quello delle penne maestre del fagiano argo maschio. Durante la parata nuziale le penne vengono spiegate e dirette verso la femmina in atteggiamento analogo a quello del pavone quando fa la ruota con la parte superiore delle penne della coda. Per il pavone è stato dimostrato in modo sicuro che la scelta del compagno compete esclusivamente alla femmina, ed evidentemente lo stesso accade per l’argo; le prospettive di procreazione del maschio sono in pratica direttamente proporzionali alla forza di stimolo esercitata sulle femmine dalla sua livrea nuziale. Ma mentre le penne del pavone si ripiegano in uno strascico più o meno aerodinamico che non ostacola granché il volo, l’allungamento delle penne maestre dell’argo maschio rende questo animale quasi incapace di volare. Se tale inabilità non è diventata assoluta, ciò dipende certamente dalla selezione operata in senso opposto dai predatori terrestri che assicurano così il necessario effetto regolatore.

Il mio maestro Oskar Heinroth diceva, nel suo solito modo drastico: «Dopo lo sbatter d’ali del fagiano argo, il ritmo di lavoro dell’umanità moderna costituisce il più stupido prodotto della selezione intraspecifica». Al tempo in cui fu pronunciata, questa affermazione era decisamente profetica, ma oggi è una chiara esagerazione per difetto, un classico understatement. Per l’argo, come per molti altri animali con sviluppo analogo, le influenze ambientali impediscono che la specie proceda, per effetto della selezione intraspecifica, su strade evolutive mostruose e infine verso la catastrofe. Ma nessuna forza esercita un salutare effetto regolatore di questo tipo sullo sviluppo culturale dell’umanità; per sua sventura essa ha imparato a dominare tutte le potenze dell’ambiente estranee alla sua specie, e tuttavia sa così poco di sé stessa da trovarsi inerme in balìa delle conseguenze diaboliche della selezione intraspecifica. […]

La competizione fra uomo e uomo agisce, come nessun fattore biologico ha mai agito, in senso direttamente opposto a quella «potenza eternamente attiva, beneficamente creatrice»