Da Era necessario il capitalismo?, di Hosea Jaffe
[English original version below]
L’olocausto degli «indios»
e della loro civiltà
ad opera del capitalismo
La tesi che vuole far risalire la nascita del «capitalismo vero e proprio» alla «rivoluzione industriale» inglese tende a omettere quelle che sono le fondamenta reali del capitalismo stesso, ovvero l’ipersfruttamento e l’oppressione razzistica dei lavoratori coloniali, che per tanto tempo hanno costituito la maggioranza del «proletariato» globale (compresi i proletari contadini)1.
Diversi studiosi condividono la tesi di Silvio Serino secondo cui «le malattie introdotte dagli europei nel “nuovo mondo” furono il principale strumento attraverso cui si attuò il più grande genocidio della storia e si realizzò la conquista»2. Tra gli altri ricordiamo Alfred Crosby e David E. Stannard3. Ma Tzvetan Todorov, inter alia, considerava l’epidemia di vaiolo una causa secondaria del genocidio degli «indios» (chiamati così soltanto perché Colombo riteneva di aver raggiunto l’India), a confronto con la guerra di conquista spagnola e l’ipersfruttamento nelle miniere di argento e nelle piantagioni4.
In effetti il primo conquistador, Cortez, vessava non meno di cinquantamila «indios» nella sua piantagione principale. A quei tempi, ovvero all’inizio del XVI secolo, e fino al XX secolo, non esistevano in Europa gruppi di lavoratori altrettanto numerosi in una singola fabbrica o in una singola piantagione. Todorov scrisse che
[…] nel 1500 la popolazione globale era composta da circa 400 milioni di abitanti, 80 milioni dei quali risiedevano in America. Verso la fine del XVI secolo, di questi 80 milioni ne rimanevano 10. Limitando il nostro discorso al Messico, all’inizio della conquista la popolazione si aggirava intorno ai 25 milioni di abitanti; nel 1600 erano stati ridotti a un milione5.
Alcuni missionari spagnoli che giunsero in America a ridosso del periodo delle conquiste (tra il 1492 e il 1512), come Las Casas, testimoniarono che la causa principale dell’enorme numero di morti non furono tanto il vaiolo e altre epidemie, ma la crudeltà degli spagnoli in guerra, nello sfruttamento, nell’affamamento e nella tortura, il terrore cronico che veniva dall’essere confinati nelle miniere d’oro e d’argento, i suicidi di massa dovuti alla claustrofobia, le esecuzioni di massa, la cristianizzazione forzata, l’uccisione dei capi degli stati precolombiani, la distruzione degli edifici delle città-stato, delle case, dei templi, dei luoghi d’insegnamento, e la cancellazione dell’industria, dell’artigianato e delle arti locali6.
Las Casas era un domenicano che si opponeva al genocidio spagnolo degli «indios». Raccomandò a Carlo V, imperatore del sacro romano impero e re di Spagna, di esportare schiavi dall’Africa verso l’America spagnola e portoghese. Carlo V accettò il consiglio.
I resoconti di Las Casas sulle atrocità spagnole furono confermati da quelli di molti altri cattolici – Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés7, il quale fu testimone delle atrocità commesse tra il 1512 e il 1521 a danno dei lavoratori di Cortez, e Toribio da Benevento (conosciuto come Motolinia)8 – e forse soprattutto dalle testimonianze prive di pregiudizi razziali e intrise di sofferenza raccolte dal «meticcio» messicano Juan Bautista Pomar, che le diede alle stampe nel 15829. Secondo tutte queste fonti il genocidio sterminò il 90% della popolazione «india», e questa stima trova riscontro nelle ricerche condotte da studiosi inglesi e statunitensi in America centrale e meridionale nel XX e XXI secolo. Uno di questi studiosi, N.D. Cook, sosteneva – come Las Casas – che la principale causa di morte tra i nativi fu la violenza spagnola10: le malattie furono il colpo di grazia che mise al tappeto la popolazione dei nativi, già ridotta in condizioni miserrime dai soldati spagnoli, dalla fame forzata, dalle psicopatologie derivanti dal confinamento nelle miniere e nei ghetti urbani e rurali, dai quotidiani abusi razzistici, dalle torture e dall’ignobile distruzione e cancellazione degli ultimi residui delle grandi civiltà precolombiane degli Aztechi, dei Toltechi, dei Maya e degli Inca.
Nonostante gli scritti di Las Casas, Oviedo y Valdes, Motolinia e Pomar, redatti proprio durante il genocidio spagnolo (e quello portoghese, dopo che Cabral «scoprì» il Brasile, nel 1500, portato dai venti alle coste nord-orientali del Sudamerica mentre cercava di raggiungere l’India sud-orientale attraverso la circumnavigazione del Capo), a distanza di mezzo millennio gli «studiosi» eurocentrici del XX secolo, sulla base di una mentalità profondamente razzista, ridimensionavano di oltre il 60% l’entità del genocidio rispetto a quella originariamente e direttamente testimoniata. Tra questi figuravano Alfred Kroeber della «Berkeley School», il quale nel 1939 proclamò che in epoca precolombiana la popolazione «india» era composta da circa 8 milioni di persone, compresi i 3,2 milioni in Messico11, e Angel Rosenblat, che nel 1954 produsse una stima, riferita al 1500 d.C., di circa 13,4 milioni di persone in tutta l’America, inclusiva di 4,4 milioni di persone in Messico12. Ma nel 1971, in una pubblicazione della stessa «Berkeley School», S. Cook e W.W. Borah avevano stimato in oltre 200.000 persone la popolazione della sola Tenochtitlan (che secondo quelle stime era dunque più popolosa della Siviglia spagnola nello stesso periodo)13.
Il dato più realistico sul numero totale degli abitanti autoctoni del continente americano preolocausto fu stimato nel 1966 da Henry Dobyns: dai 100 ai 145 milioni14. L’archeologia moderna ha portato alla luce concentrazioni urbane piramidali negli stessi Stati Uniti. A quei tempi la Russia e l’Europa avevano una popolazione di circa 100 milioni di persone. Tutti i dati scientifici dimostrano che l’America precapitalista aveva un numero di abitanti equivalente a quello dell’Europa, dell’India e della Cina, e che la civilizzazione capitalista europea distrusse le civiltà native gettando sulle loro macerie e sui cadaveri di oltre 100 milioni di nativi le fondamenta americane del modo di produzione capitalista.
L’olocausto europeo degli «indios» nel XVI secolo, perpetrato fino alla fine del XIX secolo all’insegna della «conquista dell’ovest», fu reiterato nei Caraibi fin dal primo sbarco di Colombo su quelle terre, poi con il traffico di schiavi europeo attraverso l’Africa occidentale, poi a Zanji, nell’Africa orientale, con il primo viaggio verso l’India di Vasco Da Gama, pochi anni dopo il fatidico 1492, poi con la sanguinosa «scoperta», ad opera di Magellano, dei popoli del «comunismo primitivo» nell’Asia sud-orientale, poi ancora con la conquista dell’Indonesia da parte degli olandesi, quella dell’India e dell’Australia ad opera degli inglesi, e infine quella del Madagascar e dell’Indocina da parte dei francesi. Nell’era dell’imperialismo, «fase suprema del capitalismo», tale fu il costo umano di ciò che Marx definì eufemisticamente «la sanguinosa nascita del capitalismo».
Solo la quadrimillenaria civiltà cinese scampò a questo olocausto che si produsse nel corso di poco meno di un millennio, e ci riuscì soltanto fino alle guerre inglesi per l’oppio della metà del XIX secolo. Il genocidio causato dalla distruzione globale del comunismo primitivo ad opera del colonialismo capitalista fece 300 milioni di vittime, più o meno 100 milioni per ognuno dei continenti coinvolti: America, Africa e Asia. Nell’insieme, includendo i genocidi su scala tipicamente europea perpetrati dopo le conquiste a danno delle società, dei popoli e delle civiltà non europee, questa «accumulazione primitiva» affogò il «comunismo primitivo» nel suo stesso sangue attraverso il corrispettivo di un centinaio di olocausti nazisti.
1 A proposito della definizione di «capitalismo vero e proprio» [in italiano nel testo originale, ndt] si veda per esempio il pur eccellente lavoro del marxista anti-imperialista italiano Silvio Serino, L’uovo di Colombo e la gallina coloniale, Giovane talpa, Milano 2006, pp. 79, 90-91 (l’autore è morto prematuramente nell’aprile 2008).
2 Ibid., p. 139.
3 A. Crosby, Ecological Imperialism: The Biological Expansion of Europe, 900-1900, Cambridge 1986; D.E. Stannard, Olocausto Americano, Torino 2001.
4 Tzvetan Todorov, La conquista dell’America, Torino 1984, 1992.
5 Ibid., pp. 161-162.
6 Bartolomé del Las Casas, Historia de las Indias, Fondo di Cultura Economica, Città del Messico 1951; Brevissima Relazione della distruzione delle Indie, Milano 1991.
7 Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés, Historia General y Natural de las Indias, Atlas, Madrid 1992 (parzialmente tradotto in italiano in Le scoperte di Cristoforo Colombo nei testi di Fernández de Oviedo, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1990).
8 Toribio da Benevento (detto Motolinia), Historia de los Indios de la Nueva Espana, Porrua, Mexico 1973.
9 Juan Bautista Pomar, Relación de Texcoco, c. 1582, Colonial Records, Madrid.
10 N.D. Cook, Born to Die. Disease and New World Conquest, Cambridge 1998.
11 Alfred L. Kroeber, Cultural and Natural Areas of Native North Ameirca, Berkeley 1939.
12 Angel Rosenblat, La población indígena y el mestizaje en América, Buenos Aires 1954.
13 S. Cook and W.W. Borah, The Indian Population of Central Mexico, 1531-1610.
14 F. Henry Dobyns, Estimating Aboriginal Population, an Appraisal of Techniques with a New Hemispheric Estimate, «Current Anthropology», VII, 1966.
From Was capitalism necessary?, by Hosea Jaffe
The Holocaust of the «Indios»
and their Civilization by Capitalism
The defining and dating of «true and proper capitalism» as if it began from the classic English «industrial revolution» tends to omit the very basis of capitalism, namely the super-exploitation and racist oppression of the colonial workers, who have long been the majority of the global «proletariat» (including peasant proletarians)1.
Several scholars adhere to the thesis of Silvio Serino that «the diseases introduced by Europeans in the New World were the principal instrument for actuating the greatest genocide of history and for therefore realising the conquest»2. Among these were Alfred Crosby and David E. Stannard3. But Tzvetan Todorov, inter alia, considered the smallpox pandemia a secondary cause of the genocide of the «Indios» (so named solely because Columbus thought he had reached India) compared with the general Spanish military conquest and super-exploitation in silver mines and plantations4.
Indeed, the prime conquistador, Cortez, oppressed no fewer than 50,000 «Indios» on his major plantation. No such huge working class existed in Europe in that early 16th century in any single factory or farm, or, indeed, until the 20th century. Todorov wrote: «in 1500 the population of the world was in the order of 400 million inhabitants, 80 million of whom resided in America. Towards the end of the XVIth century, of these 80 millions there remained 10 millions. Limiting our discourse to Mexico, at the beginning of the conquest the population was about 25 million inhabitants; in 1600 they were reduced to 1 million»5.
Spanish missionaries like Las Casas, who were in America after the conquests of 1492 to 1512, wrote that the major cause of the massive death toll was not so much small-pox and other pandemics but the Spanish cruelty in warfare, exploitation, famine, torture, chronic terror-stricken fear of being confined in silver and gold mines, mass suicides based on socialised claustrophobia, mass executions, forced Christianization, the killing of the heads of the Aztec and other states, the razing of the city-state buildings, the burning of their houses, temples and places of learning, and the destruction of their industries, crafts and arts6.
Las Casas was a Domenican priest opposed to the Spanish genocide of the Indios. He suggested to the Holy Roman Spanish emperor Charles V to import slaves from Africa into Spanish-Portuguese America. Charles V accepted Las Casas’s policy.
Las Casas’s reports of Spanish atrocities were confirmed by Catholic scribes Gonzalo Fernandez de Oviedo y Valdes7, who witnessed the atrocities of 1512-21 against Cortez’s labourers; Toribio da Benevento (known as Motolinia)8 and, above all, perhaps, the racially-unprejudiced and long-suffering records of the conquered Mexican «meticcio», Juan Bautista Pomar, completed about 15829, all estimated the genocide to be 90% of the Indios population. This 90% holocaust has been confirmed by 20th and 21st century research in Central and South America by British and usa scholars. One of these, N.D. Cook, held (like Las Casas) that the major cause of death was Spanish violence10. As for disease, it was the «knock-out» blow which felled a native population reduced to near death by the Spanish soldiers, enforced famines, psychopatholigising confinement in mines and urban and plantation ghettos, daily racist abuse, torture, and the horrifying destruction and «disappearance» of the Great Aztec, Toltec, Mayan, Inca and other relics of pre-Columbian civilizations.
Despite the writings of Las Casas, Oviedo y Valdes, Motolinia and Pomar during the actual Spanish holocaust (and that of the Portuguese, after Cabral «discovered» Brazil in 1500, when driven by winds to the north-west coast of South America while en route to south-west India via the rounding of the Cape), Eurocentric «scholars» of the 20th century (half a millennium after that holocaust) carried out an entirely racist reduction of over 60% of the original actually observed holocaust. Among these were Alfred Kroeber of the «Berkeley School», who in 1999 claimed a pre-Columbian Indios population count of 8 million in North America, including 3.2 million in Mexico11, and Angel Rosenblat, who in 1954 manufactured figures for 1500 AD of only 13.4 million Indios for all America, including 4.4 million for Mexico12. But S. Cook and W.W. Borah, in a 1971 «Berkely» book, estimated the 1531 population only of Tenochtitlan to have been over 200,000, more than that of Seville, Spain13.
The actual pre-holocaust native population of all America was estimated by Henry Dobyns in 1966 to have been from 100 to 145 millions14. Modern archaeology reveals pyramidal urban concentrations in the present USA itself. At that time Russia and Europe had a population of about 100 million. All scientific indications prove that pre-capitalist America had a population equivalent to each of Europe, India and China, and that European capitalist civilization destroyed the native civilizations, and laid the American foundations of the capitalist mode of production on their ruins and the genocided bodies of over 100 million natives.
The European holocaust of the Indios, perpetrated in the 16th century and then continued right to the end of the 19th century (with the cry of «Go West»), was reproduced in the Caribbeans from the very first disembarkation of Columbus; then through Western Africa by the European slave traffic; then in Zanj, East Africa, since Vasco Da Gama’s first voyage to India a few years after the fateful 1492; then through Magellan’s bloody «discovery» of the populace of «primitive communism» in south-east Asia; thence onto and into the seizure of Indonesia by the Dutch, of India and Australia by the British, and finally of Madagascar and Indo-China by the French. On the very eve of imperialism, «the highest stage of capitalism», this was the human cost of what Marx modestly called «the bloody birth of capitalism».
Only the 4000-year old civilization of China escaped this semi-millennial holocaust, but then only until the British Opium Wars of the mid-19th century. The genocide of this global destruction of primitive communism by capitalist colonialism totals over 300 millions, 100 or more millions in each of America, Africa and Asia. All told, including post-conquest genocide on the typical European scale against non-European societies, peoples and civilizations, this «primitive accumulation» bloodily buried «primitive communism» in a hundred Nazi holocausts of Jews.
1 E.g., on «true and proper capitalism», see the even excellent work of the Italian Marxist anti-imperialist, Silvio Serino, L’Uovo di Colombo e la Gallina Coloniale, Milano, March 2006, pp. 79, 90, 91 (this day of writing – 16 January 2008 – I received the terribly sad news that Silvio is terminally ill from lung cancer.)
2 Ibid. p. 139.
3 A. Crosby, Ecological Imperialism: The Biological Expansion of Europe, 900-1900, Cambridge 1986; D.E. Stannard, Olocausto Americano, Torino, 2001.
4 Tzvetan Todorov, La Conquista dell’America, Torino, 1984, 1992.
5 Ibid. pp. 161-2.
6 Bartolomé del Las Casas, Historia de las Indias, Fondo di Cultura Economica, Mexico City, 1951; Brevissima Relazione della Distruzione della Indie, Milano, 1991.
7 Gonzalo Fernadez de Oviedo y Valdes, Historia General y Natural de las Indias, Madrid, Atlas 1992 (Italian partial translation: Le Scoperte di Cristoforo Colombo nel testi di Fernandez de Oviedo, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1990).
8 Toribio da Benevento (called «Motolinia»), Historia de los Indios de la Nueva Espana, Porrua, Mexico, 1973.
9 Juan Bautista Pomar, Relacio de Texcoco, c. 1582, Colonial Records, Madrid.
10 D.N. Cook, Born to Die, Disease and New World Conquest, Cambridge 1998.
11 Alfred L. Kroeber, Cultural and Natural Areas of Native North Ameirca, Berkeley, 1939.
12 Angel Rosenblat, La publacion indigine y el mestizaje en America, Buenos Aires, 1954.
13 S. Cok and W.W. Borah, The Indian Population of Central Mexico, 1531-1610.
14 F. Henry Dobyns, Estimating Aboriginal Population, An Appraisal of Techniques with a New Hemispheric Estimate, «Current Anthropology», VII, 1966.