Un cuore stilizzato con la parte in alto a sinistra rossa e la parte in basso a destra nera.

Come salvare “il mondo” e farne uno tanto migliore

Quando si considera qualsiasi conflitto, frizione, attrito, che sia passato o in divenire, tra due o più esseri umani, o tra due o più gruppi di esseri umani, quanto più indietro si va a cercarne “colpe” o responsabilità, tanto più difficile e poi impossibile diventa definirne.

Per esempio possiamo chiederci quanto sia sbagliato che Hamas (l’organizzazione al governo della Palestina, teofascista quanto il governo israeliano, quello americano, e tanti altri), abbia fatto la guerra e la guerriglia armata, colpendo soprattutto e di gran lunga i civili israeliani, così come il governo israeliano ha fatto, e tanto di più, coi palestinesi; poi possiamo chiederci come nasce il sionismo, e se fosse sbagliato che gli ebrei dopo la diaspora volessero uno stato, e se fosse sbagliato che lo volessero di più dopo la Shoah; ecc., ecc.

Credo, come René Girard (anche se non sono d’accordo su alcuni punti specifici della sua teoria: per esempio credo che il desiderio e le sue forme non siano solo dettati dalla mimesi, ma siano anche e in buona parte innati, un po’ come la nostra competitività), che nessuna “etnia” e nessuna “civiltà” sia innocente: che i sacrifici umani si facessero dappertutto all’alba dell’umanità, che la differenziazione dai primati da cui discendiamo sia avvenuta anche e soprattutto attraverso la ritualizzazione del tutti-contro-uno catartico che si produceva inizialmente in modo spontaneo, con la vittima prima percepita come un demone e poi, dopo l’omicidio collettivo, come una divinità (diversamente da Girard credo sia stata una delle origini del pensiero simbolico, però similmente a lui penso sia probabile sia stata la principale), e che le “civiltà” oggi più “ricche” e “avanzate” siano semplicemente quelle che storicamente più hanno praticato il sacrificio ritualizzato al loro interno, di volta in volta su vittime diverse (i più diversi ed emarginati dalla maggioranza, le “streghe”, ecc.), e che più hanno praticato la violenza delle guerre e delle colonizzazioni verso l’esterno, con quelle europee che all’alba del capitalismo hanno commesso il più grande genocidio della storia, almeno finora; mentre è sotto gli occhi di tutti, al presente, che le stesse “civiltà” oggi più “ricche” e “avanzate” sono quelle che stanno praticando più di tutte le altre, e di gran lunga, la grande violenza della guerra e del genocidio: Israele non è solo Israele, è anche tutte quelle economie e tutti quei governi che sono partecipi della sua economia di guerra, in testa l’Unione Europea e gli Stati Uniti di “America”.

Credo anche che, nonostante siamo ormai proprio agli sgoccioli di un percorso verso l’estinzione o la decimazione della nostra specie a vantaggio esclusivo dei più ricchi e potenti, sia ancora possibile venirne fuori, sia ancora possibile salvarci e salvare la nostra specie fondando un mondo solo relativamente nuovo in cui la violenza sarebbe molto, molto minore dappertutto, e non ci sarebbero più sacrifici né guerre, e ci sarebbe molta più eguaglianza sociale e molta più gioia, perché diversamente da Girard non credo esista alcun dio o demone, credo che la vita di ciascuno sia una sola, e che alla morte non sopravviva alcuna soggettività e non segua alcun premio o punizione, così come all’eventuale ma sempre più probabile “fine del mondo” non seguirebbe alcun giudizio universale riparatore, perciò penso solo che dovremmo realizzare, per il bene nostro e delle generazioni future della nostra e delle altre specie, che la vita nel suo insieme è una sorta di divinità, che alla nostra estinzione e quella delle tante altre specie che stiamo trascinando verso la stessa fine ne sopravvirebbero tante altre, più semplici e resistenti, e che perciò va trattata con cura, cautela e rispetto da tutti perché tutti possano godere dei suoi frutti (quasi letteralmente), e che perciò dovremo diventare superiori alla nostra natura, e che non è affatto impossibile farlo: per esempio un sacco di persone hanno già realizzato che, a parità di sevizie subite, gli animali — sia i predatori, sia i non predatori —, soffrono tanto più similmente a noi quanto più complesso è il loro sistema nervoso, e forse in alcuni casi di più (il cervello delle orche per esempio ha più neuroni e sinapsi del nostro), e in ogni caso soffrono almeno quanto noi perché, con modalità spesso peggiori di quelle delle peggiori sevizie inferte dall’uomo su altri uomini, vengono seviziati quotidianamente a milioni e milioni negli allevamenti e nei macelli, che producono una grossa parte delle emissioni di gas serra e sono i crogioli principali di nuove malattie e pandemie sempre più frequenti, dolorose e mortifere; e queste persone (io tra queste) si rifiutano giustamente di mangiarne, anche perché l’alternativa c’è ed è tanto più sostenibile, e lo sarebbe tanto più quando convertissimo le attuali coltivazioni intensive, che impoveriscono e avvelenano i terreni, che usano quantità spropositate di acqua, e che sono possibili soltanto in ragione di quella produzione di azoto di sintesi che è una delle attività che causano più emissioni di gas serra, a tecniche più produttive e allo stesso tempo realmente sostenibili come la permacultura, l’agroforestazione, l’irrigazione a goccia, la rigenerazione e la disintossicazione delle terre e delle acque tramite le soluzioni micologiche più avanzate. E si: la nostra è la specie con i livelli di violenza di gran lunga maggiori al suo interno e verso le altre, ma è anche, almeno al presente, la sola che potrebbe, in un futuro nemmeno tanto remoto, portare la vita su altri pianeti dove non c’è, ed esplorare quelli dove scoprissimo che già c’è.

Ma niente di tutto questo sarà possibile se non prenderemo dappertutto i mezzi di produzione, per spegnere quelli inquinanti e socializzare il resto, e le terre coltivate, per socializzarle e coltivarle sostenibilmente e più produttivamente, e per fare dappertutto il confederalismo municipalista con l’Internazionale socialista sempre più necessaria.

Aggiunte

Un amico mi ha scritto lamentando la mancanza di una parte su “come potremo diventare buoni se siamo così stronzi”, dopo l’Internazionale. In realtà c’è qualche accenno a quella parte, nel post sull’Internazionale che ho già linkato sopra. Comunque anche secondo me lì è un po’ troppo ridotta, quindi la ripeto e la estendo qui.

È vero che da quando alcuni paesi hanno intrapreso — e non avrebbe potuto essere diversamente sotto il capitalismo — la via della industrializzazione selvaggia con il suo impiego spregiudicato ed ecocida di tecnologie che sono ancora oggi il frutto dello sfruttamento abnorme e semi-schiavistico di tanti lungo la catena produttiva e quella del “riciclo-smaltimento”, che è almeno altrettanto devastante, però mi sembra che le conseguenze e le responsabilità di grandissima lunga maggiori di tutto ciò, che sono dei padroni e dei governi, siano oggi sempre più sotto gli occhi di tutti, e che al contempo lo sia anche, se guardiamo seriamente alla storia della nostra specie, il fatto che sono in parte innate le nostre tendenze negative (o meglio, probabilmente negative solo quando portate all’eccesso), come quella alla competizione, quella all’egoismo, quella all’orgoglio, quella all’invidia, quella alla gelosia, ecc. (mentre l’aggressività a me non sembra innata, o quantomeno mi sembra meno innata delle altre, e la considero più come un portato dell’esasperazione delle altre).

Anche per questo sono convinto che, rispetto a continuare a sostenere il mito rousseauiano del “buon selvaggio” e gli altri miti su una nostra primigenia (in senso storico e individuale) “bontà” e innocenza — che sul piano storico, giustamente, anche Graeber, antropologo anarchico, e Wengrow, bravissimo archeologo, sconfessano in L’alba di tutto —, ammettere che in parte le nostre tendenze negative sono innate sia molto più funzionale alla necessaria costruzione di un mondo diverso, e a capire la necessità dell’Internazionale per farlo, e a cominciare a organizzarci seriamente per farlo, così come sono convinto che sia e sarà molto più semplice arginare, sublimare e-o fare catarsi quasi o totalmente innocua delle stesse nostre tendenze negative rendendocene consapevoli al di fuori delle visioni mitiche e religiose che prevedono meccanismi di premio o punizione dopo la morte individuale o l’apocalisse.

In ogni caso noi, che non siamo nati ricchi e potenti, non siamo e non saremo mai stronzi quanto un Trump, un Netanyahu, un Putin, un dirigente di una compagnia petrolifera o del partito “comunista” cinese, e credo che, sebbene probabilmente non riusciremo mai a liberarci completamente dalla competitività e dalle altre nostre tendenze negative (e quindi nemmeno dall’aggressività), ci siano e ci saranno e cresceranno tanti modi per tenerla a bada, per sfogarla e sublimarla quasi o del tutto innocuamente, per mantenerla ai livelli che ha quando nasciamo e forse anche per diminuirla rispetto a quelli: per esempio i videogiochi, con la catarsi del vivere lì per finta, quasi o del tutto innocuamente, anche la competitività, l’aggressività, la violenza, e con la sublimazione del costruire lì mondi condivisi o meno; e con la catarsi e la sublimazione possibili con le forme d’arte precedenti; e con una pedagogia della nonviolenza che includesse il racconto delle tragedie da cui veniamo; e con gli sport frugali; e con gli psichedelici presi con attenzione, per sentire di più la connessione con tutto il resto del vivente e ridimensionare l’ego; e anche e tanto con una sessualità e un’affettività rispettose anche perché finalmente libere da paure superstiziose.

Ma credo che il punto più importante ora sia come noi, che sappiamo essere tutto sommato pacifici e certo preferiamo la pace alla guerra e alla violenza, possiamo recuperarci a quel po’ di violenza che sarebbe comunque sicuramente necessario per difenderci dai fascisti (comprese le polizie e gli eserciti, almeno i loro membri che non volessero stare dalla nostra parte), prendere i mezzi di produzione e le terre, fare il confederalismo municipalista globale e poi tornare a essere pacifici, tanto più gioiosamente di prima. E come organizzarci praticamente per farlo.

Registro delle modifiche in ordine cronologico inverso

  • Martedì 14 ottobre 2025: modifiche minori qua e là nel testo, che non ne cambiano il senso.
  • Lunedì 13 ottobre 2025: molte modifiche e aggiunte alla sezione “Aggiunte” alla fine.
  • Martedì 7 ottobre 2025: pubblicato.

8 commenti su “Come salvare “il mondo” e farne uno tanto migliore”

  1. Ciao P., con grande piacere ti ho “rivisto” in questo scritto intenso e appassionato. Ogni concetto esplicato mi parla di te, del P. che ho conosciuto, conosco, anche se da tempo non ci frequentiamo. (perché?)
    Quanta dolce utopia: sulla violenza, le guerre, il rapporto con la natura e gli animali. Tutta l’utopia che vivo anch’io, da sempre, passando dal cristianesimo al comunismo umanitario, dall’ecologia al rifiuto di buona parte di tecnologia che annulla la singolarità.
    Però caro P., non è poi tanto utopico il mondo che vorremmo: credo che quando si toccherà il fondo le future generazioni lo realizzeranno perché altrimenti non ne avranno altre dopo di loro.
    Un abbraccio.
    D.

    1. Ciao D., caro, sono molto contento che il post ti sia piaciuto, e di come ti sia piaciuto.
      (Ho modificato il tuo nome e cognome nel tuo commento, e sostituito il mio nome e il tuo nome nel tuo commento con le sole iniziali puntate, per tutelarci un po’ da sguardi indiscreti 🙂).
      Anche secondo me non è poi tanto utopico il mondo che vorremmo, solo penso che dovremmo muoverci già adesso o comunque molto presto perché davvero il tempo stringe sul piano ecologico e su quello politico, con guerre che rischiano di allargarsi e con le emissioni di gas serra che continuano ad aumentare, invece di diminuire, e sono solo uno, anche se il più pesante, dei 6-7 “limiti planetari”, su 9, che abbiamo abbondamente superato da tanto tempo. È difficile, ma forse non impossibile, penso comunque che prima cominciassimo a organizzarci praticamente meglio sarebbe, altrimenti rischieremo di non fare nulla o fare qualcosa, come si suol dire, “a babbo morto”, insomma quando sarà comunque troppo tardi.
      Il problema però è che non so come mettere in pratica quello che ho scritto, sono un po’ in stallo insomma, con la consapevolezza di ciò che sarebbe necessario fare, ma senza avere, almeno per ora, un’idea di come farlo praticamente. Tra l’altro, a parte te e pochə altrə (fai che al momento saremmo in 5 o 6), almeno finora nessun altro si è espresso in sostegno alle idee che ho scritto qui e nel post sull’Internazionale, ed è da tanto che le esprimo, e questi 2 post li ho segnalati (soprattutto quello sull’Internazionale) tante volte e a tante persone. Ma forse questo disinteresse è solo apparente e deriva prevalentemente da una legittima paura di esporsi. Comunque, sto pensando a come evitare questo problema, magari mi viene in mente qualche idea, se te ne vengono in mente fammelo sapere.
      Un abbraccio forte
      P.

      1. Penso che i cambiamenti avvengono quasi da soli, in senso positivo o negativo. Certo il contributo della volontà dei singoli, di tanti singoli con le stesse utopie, fa succedere le cose. Il momento viene quando non se ne può più e allora tutti i singoli si uniscono e lottano per il cambiamento. Questa unione di singoli è sempre una minoranza costruttiva che riesce a far cambiare le cose, come è stato per la Resistenza. Nel nostro piccolo possiamo accelerare il processo se seguiamo un comportamento nella vita quotidiana coerente con le idee che sosteniamo, dando l’esempio. Non sono sforzi vani, lasciano traccia per le generazione che procederanno, anche se lentamente, alla RIVOLUZIONE anticapitalista, anticonsumistica.

        1. Sono d’accordo su tutto, ma penso anche che nelle circostanze storiche in cui stiamo, non possiamo permetterci di aspettare il momento in cui anche qui le cose diventeranno invivibili, e anzi forse è già tardi ora per evitare l’estinzione o la decimazione (più probabilmente l’estinzione: credo che l’idea che hanno questi nazisti di merda, genocidi ed ecocidi, di poterla sfangare nei loro rifugi super accessoriati e a lunga autonomia, sia quasi sicuramente un’illusione). Nondimeno, certo, continuerò a insistere, nei limiti delle forze che ho, e spero che lo farai anche tu. Un abbraccio.

  2. Ciao P.
    In linea di massima sono d’accordo con le tue riflessioni. Proprio l’altro giorno parlando con D. stavo discutendo di un concetto, che per semplificare chiamo Piramide, secondo me fondamentale legato alla natura umana e animale in generale (anche se esistono alcune eccezioni). Il concetto è semplice ed è dettato dall’impossibilità dell’uomo di creare una società che non sia di forma piramidale. Lo stesso pensiero astratto è in difficoltà quando si cerca di pensare diversamente. Vi invito a provare. È un esercizio mentale che pratico fin da giovane età.
    Non parlo solo di un’organizzazione della società di tipo amministrativo o politico, ma anche filosofico.
    Le stesse religioni hanno questa forma mentis. La necessità di identificarsi in un leader, in un capo branco, un Dio… è un bisogno primario e direi fisico per organizzare la mente che altrimenti va in confusione. È come mettere dei paletti.
    E più la società è complessa più la piramide è necessariamente più alta e tende ad essere più ripida. Tutto ciò porta ad un serie di altri concetti che evito dì scrivere altrimenti vien fuori un’altro pippone come il tuo :-)
    Ma uno più di tutti la perdita di responsabilità (o meglio, la presunta perdita di responsabilità). Già quando si raggiunge il secondo gradino della piramide avviene la “magia”. E quando non hai più la responsabilità da portare sulle tue spalle tutto è possibile. La violenza stessa di cui parlavi tu diventa legittima e praticabile su larga scala.

    Concluderei con una citazione.
    “Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti“

    Al mio amico P
    panz)(panz

    1. Caro (tanto) G.uz, non sono per niente d’accordo con la tua analisi sulla piramide, ecc., e ti consiglio di leggere tutto quello che ha scritto David Graeber, antropologo anarchico (noto soprattutto per essere stato una delle menti principali dietro e dentro “Occupy Wall Street” e altri movimenti analoghi), perché forse tra le cose che ho letto la sua produzione è quella che tocca più da vicino l’argomento “piramide” e “pensiero piramidale”, con annessi e connessi, documentando per esempio, soprattutto nel suo ultimo libro “L’alba di tutto”, che scrisse insieme a un bravissimo archeologo, David Wengrow, come in passato anche società già urbanizzate in città grandissime dove già si praticava l’agricoltura (che rispetto alla caccia e raccolta era più suscettibile di “capitalismi”, per ovvi motivi), abbiano vissuto a volte anche per più di un millennio con ottimi livelli di eguaglianza in termini di distribuzione della ricchezza e senza capi, organizzandosi e decidendo e raffinando via via, in assemblee aperte a tutt*, le regole del vivere comune, ecc., senza che questo abbia determinato alcun “impazzimento” dei singoli, senza che questo abbia determinato alcuna battuta d’arresto nel loro progredire verso una conoscenza sempre più scientifica e “smitizzata” della realtà, ma con la capacità, dovuta credo soprattutto a questa strutturazione realmente democratica del potere che si erano dati, di scartare per decisione comune le applicazioni di alcune scoperte che andavano facendo, oppure di limitarne parecchio l’uso.

      Un abbraccio forte dal tuo sempre amico e compagno P.

      panz)(panz

  3. Ciao panz)(panz, è bello seguire i vostri commenti, anche se un po’ fuori della mia portata cognitiva (la vecchiaia!!).
    È bello che siate due uomini che vivono il presente con partecipazione e con la volontà di desiderare un futuro diverso dall’oggi.
    È bello pensarvi ancora ragazzi che buttano la lenza nella “fossa Magna”, che esplorano i sotterranei del cimitero…
    È bello nonostante tutto anche questo mondo, così imperfetto, da perfezionare, ma che non sarà mai perfetto.
    Vi abbraccio
    D.

    1. Anche per me è vero che ci sono ancora scampoli di bellezza nel mondo, e che non sarà mai perfetto, ma penso anche che perché un futuro ci sia, e sia migliore di questo presente in cui anche gli spazi e i tempi di quegli scampoli di bellezza si riducono sempre più, sia necessaria l’Internazionale.
      Un abbraccio anche da me
      P.

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