Dio capitalista

Dal Vangelo

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. [Con che diritto l’uomo possedeva quel terreno? La terra è di tutt* e di nessun*] La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. [Ma tutto? O almeno un po’ i contadini potevano tenerne per sé? Che comunque sarebbe già stato ingiusto, siccome la terra è di tutt* e di nessun*: cos’è ’sta cosa che la dichiari tua in base a niente, ci metti la siepe intorno, ci pianti qualche seme di vite, poi la lasci da lavorare ad altri, te ne vai in vacanza, e dei frutti del lavoro altrui pretendi, se non tutto, la parte più grossa?] Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo [Mi sembra anche giusto, magari i contadini avevano pure proposto ai servi di lavorare con loro da pari quella terra, magari avevano pure detto ai servi “invitate anche il padrone a lavorare con noi”, ma certo i servi erano rimasti fedeli al padrone e continuavano a pretendere il raccolto, se non tutto la parte più grossa, magari minacciando, allora cosa avrebbero dovuto fare i contadini?]. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. [Ecco, qua forse c’è un po’ un errore dei contadini: la terra doveva rimanere di tutt* e di nessun*, mica ereditata come proprietà, né dal figlio del padrone né da loro; però è anche vero che aveva cominciato il padrone, a dire “è mia”, per giunta pretendendo che chi la lavorava gli desse se non tutto, la parte maggiore del raccolto, quindi la tentazione di fare “specchio riflesso” ci stava pure]. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo [Chiara metafora del padrone che sposta la produzione dove il lavoro è meno tutelato]».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti». [Qui non ho ben capito: la “pietra scartata” sono i contadini che non volevano dare il frutto del loro lavoro al padrone? È il figlio del padrone? Boh, comunque che storia tutta sbumballata, a maggior ragione se si considera che “il terreno” è il mondo intero].

El gato de Schrödinger

De El quark y el jaguar, de Murray Gell-Mann

En el dominio cuasiclásico, los objetos obedecen aproximadamente las leyes de la mecánica clásica. Se encuentran sujetos a fluctuaciones, pero éstas son sucesos individuales superpuestos a un patrón de comportamiento clásico. Sin embargo, una vez se produce una fluctuación en la historia de un objeto por lo demás clásico ésta puede verse arbitrariamente amplificada. Un microscopio puede aumentar la imagen de una partícula de tinta golpeada por una molécula y una fotografía puede preservar la imagen ampliada indefinidamente.

Esto nos trae a la memoria el famoso experimento mental del gato de Schrödinger, en el cual un suceso cuántico es amplificado de manera que decide si un gato resulta envenenado o no. Tal amplificación, aunque poco agradable, es perfectamente posible. Puede diseñarse un mecanismo de forma que la vida del gato dependa, por ejemplo, de la dirección que tome una partícula emitida por la desintegración de un núcleo atómico. (Empleando un arma termonuclear, podría decidirse de igual manera el destino de una ciudad).

La discusión clásica sobre el gato de Schrödinger se basa en la interferencia cuántica entre los escenarios del gato vivo y del gato muerto. Sin embargo, el gato vivo interacciona de modo considerable con el resto del universo —a través de su respiración, por ejemplo— e incluso el gato muerto interactúa hasta cierto punto con el aire. No sirve de nada encerrar al felino en una caja, porque la caja interactúa con el resto del universo, así como con el gato. De modo que hay abundantes oportunidades para la decoherencia entre las historias no detalladas en las que el gato vive y en las que muere. Los escenarios en los que el gato vive y aquellos en los que muere son decoherentes: no hay interferencia entre ellos.

Es tal vez este aspecto de la interferencia en la historia del gato lo que hace exclamar a Stephen Hawking: «Cuando oigo hablar del gato de Schrödinger, echo mano a mi pistola». Esta frase es en cualquier caso una parodia de otra que suele atribuirse a algún líder nazi, pero que de hecho aparece en la obra de teatro Schlageter, de Hanns Johst: «Cuando oigo la palabra Kultur, le quito el seguro a mi Browning».

Supongamos que el suceso cuántico que determina el destino del gato ha ocurrido ya; no sabremos lo que ha pasado hasta que destapemos la caja que encierra al animal. Dado que los dos resultados posibles son decoherentes, la situación no difiere del caso clásico en el que abrimos la caja que contiene a un pobre animal después de un largo viaje, tras el que no sabemos si está vivo o muerto. Se han gastados resmas de papel acerca del supuestamente misterioso estado cuántico del gato, vivo y muerto al mismo tiempo. Ningún objeto cuasiclásico real puede mostrar tal comportamiento, porque su interacción con el resto del universo conducirá a la decoherencia de las posibles alternativas.

La “Nota dell’Autore”, Philip K. Dick, alla fine di “Un oscuro scrutare”

Quello che avete letto è un romanzo che riguarda alcune persone che sono state punite eccessivamente per quello che hanno fatto. Volevano divertirsi, ma si comportarono come quei bambini che giocano per strada, che per quanto possano vedere come ciascuno di loro, l’uno dopo l’altro, rimanga ucciso, travolto, mutilato, annientato, non per questo smettono di giocare. Per un certo lasso di tempo noi tutti siamo stati per davvero felici, seduti qua e là senza faticare, semplicemente cazzeggiando e giocando. Ma questo lasso di tempo è stato terribilmente breve e la punizione che ne è seguita è stata al di là di ogni immaginazione; e anche quando infine la vedemmo abbattersi su di noi, non riuscivamo a crederci. Per esempio, mentre stavo scrivendo questo libro ho appreso che la persona su cui ho modellato il personaggio di Jerry Fabin si era suicidata. L’amico, da cui ho tratto le caratteristiche del personaggio di Ernie Luckman, è morto prim’ancora che cominciassi il romanzo. Per un po’ di tempo io stesso sono stato uno di questi bambini che giocano per strada; come tutti loro, cercavo semplicemente di giocare invece di fare l’adulto, e sono stato punito. Io sono nell’elenco che riporto più giù, che è l’elenco di coloro ai quali è dedicato questo romanzo, con tutto quello che di loro è avvenuto.

L’abuso di droga non è una malattia, è una decisione, come quella di sbucare davanti a un’auto in corsa. Questa non la si definirebbe una malattia ma un errore di valutazione. Quando un certo errore comincia a essere commesso da un bel po’ di persone, allora diviene un errore sociale, uno stile di vita. E in questo particolare stile di vita il motto è: ‘Sii felice oggi perché domani morirai’; ma s’incomincia a morire ben presto e la felicità è solo un ricordo. In definitiva, allora, l’abuso di droga è soltanto un’accelerazione, un’intensificazione dell’ordinaria esistenza di ciascun uomo. Non è differente dal tuo stile di vita, è semplicemente più veloce. Tutto avviene nel giro di mesi o di settimane o di giorni, invece che di anni. ‘Prendi i contanti e lascia andare i crediti,’ diceva Villon nel 1460. Pensarla così può essere un errore, se i contanti sono un soldo e i crediti una vita intera.

Non c’è una morale in questo romanzo, non ve n’è di certo una borghese. Non vi si dice che va considerato sbagliato il fatto che loro giocassero invece di faticare; si raccontano semplicemente quali sono state le conseguenze della loro scelta. Nel teatro greco si cominciò, in ambito sociale, a scoprire la scienza, il che vuol dire la legge di causa-effetto. Qui, in questo romanzo, agisce dunque la Nemesi: non il destino, perché ciascuno di noi avrebbe potuto scegliere di smettere di giocare per strada, ma, così come avrete potuto evincere da questa narrazione sorta dalla parte più intima della mia vita e dei miei affetti, una terribile Nemesi per tutti coloro che hanno continuato a giocare. Io stesso non sono un personaggio di questo romanzo: io sono il romanzo. Tuttavia, così appariva la nostra nazione in quel periodo. Questo romanzo riguarda molte più persone di quante ne abbia conosciuto personalmente. Di alcune di loro, noi tutti abbiamo letto qualcosa sui giornali. È stata, quella di starsene seduti qua e là con i nostri amiconi a cazzeggiare e a registrare le stronzate che dicevamo, la decisione sbagliata di un intero decennio, gli anni Sessanta, sia dentro sia fuori dal sistema. E la natura ci è rovinata addosso. Siamo stati costretti a smettere da cose terribili.

Se queste persone hanno commesso un ‘peccato’, è stato quello di voler continuare a divertirsi per sempre, e sono state punite per questo; ma, come ho già detto, se si tratta per davvero di una punizione, sento che è stata eccessiva. Pertanto preferisco pensare a ciò soltanto alla maniera del teatro greco, vale a dire in termini moralmente neutri, come pura scienza, come rapporto deterministico e imparziale di causa-effetto. Li ho amati tutti. Questo è l’elenco di coloro ai quali dedico il mio amore:

A Gaylene, defunta.
A Ray, defunto.
A Francy, psicosi permanente.
A Kathy, disturbi cerebrali permanenti.
A Jim, defunto.
A Val, gravi disturbi cerebrali permanenti.
A Nancy, psicosi permanente.
A Joanne, disturbi cerebrali permanenti.
A Maren, defunta.
A Nick, defunto.
A Terry, defunta.
A Dennis, defunta.
A Phil, disturbi permanenti al pancreas.
A Sue, disturbi vascolari permanenti.
A Jerri, psicosi permanente e disturbi vascolari.

…E così via.

In memoriam. Questi sono stati i miei compagni; non ce ne sono di migliori. Restano nella mia memoria e il nemico non sarà mai perdonato. Il ‘nemico’ è stato il loro errore durante il gioco. Che possano tutti loro giocare ancora, in un qualche altro modo, e che siano felici.