È che

È che non reggo più né l’enorme ingiustizia sociale globale, né questo orizzonte di estinzione a breve termine, né il mio essere colpevole di entrambi — meno di tant* altr*, ma comunque colpevole —, né il fatto che per venir fuori da tutto ciò, compresa la nostra colpevolezza, si propongono e si praticano come soluzioni soltanto cose che, sebbene di per sé giuste, hanno un’efficacia minimissima ed enormemente insufficiente rispetto all’entità dei problemi, e altre che in realtà perpetuano sia l’ingiustizia sociale sia quella ecologica; né reggo più il fatto che ormai reputo impraticabile ciò che se invece lo fosse ci permetterebbe forse davvero di uscirne, o comunque avrebbe un potenziale reale sufficiente a farlo: una internazionale per prendere dappertutto i mezzi di produzione, anche per spegnere quelli che inquinano, e le terre, anche per coltivarle senza inquinare, autogestendo tutto in un municipalismo a democrazia diretta. Lo reputo impraticabile siccome credo che a volerlo fare saremo sempre troppo poch*, ma proprio pochissim*, rispetto ai tempi stretti o forse già scaduti che abbiamo dal punto di vista ecologico, perché già cercare di convincere altr* della potenziale efficacia di quella internazionale è uno sforzo improbo, richiede di mettere in luce la falsità di tante apparenti soluzioni più facili e l’efficacia minimissima di tante altre e pare sempre di rompere le uova nei panieri altrui quando lo si fa, e perché non so come si potrebbe organizzare, fattivamente, un tentativo così.

Sono sempre più convinto che non ne usciremo, che ci estingueremo o saremo decimat*, principalmente e di gran lunga per colpa dei padroni e delle “classi dirigenti”, di cui comunque non mi va di fare il gioco spacciando per reali soluzioni false senza crederci, o ingigantendo l’efficacia in realtà minima di tante altre, perché altr* possano vivere nel macello in cui stiamo e arrivare alla mannaia con una maggiore serenità che, siccome consapevole, non sarebbe mai mia.

Citazioni da «La vita inaspettata» di Telmo Pievani, e una piccola critica

Da La vita inaspettata,
di Telmo Pievani


Oggi su quegli altri quattro quinti della storia della vita sappiamo molto di più. Ma il messaggio che ci restituisce il tempo profondo è spiazzante, perché scopriamo anzitutto che l’evoluzione nelle sue prime fasi ha probabilmente preferito molto più l’associazione della competizione.

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Un po’ di libero arbitrio

Da Sulla materia della mente,
di Gerald M. Edelman

Capitolo 16
Memoria e anima individuale:
contro il riduzionismo sciocco

La scienza non può spiegare il mistero ultimo della Natura. E questo perché, in ultima analisi, noi stessi siamo parte del mistero che tentiamo di spiegare.

Max Planck

Se dovessi vivere di nuovo, mi piacerebbe vivere sopra un negozio di specialità gastronomiche.

Woody Allen

Dall’ultimo quarto del diciassettesimo secolo fino all’ultimo decennio del secolo successivo, un’esplosione di creatività chiamata Illuminismo trasformò la storia delle idee. Molte opinioni e molte concezioni fiorirono, ma al centro dell’interesse generale si trovavano soprattutto la ragione, la scienza, la libertà e l’individualità dell’uomo. La scienza che ne costituiva il fondamento era la fisica, il sistema di Newton, e la concezione filosofica della società era, in larga misura, quella di Locke. Tuttavia le idee di causalità e determinismo, assieme alla visione meccanicistica della scienza, minarono alla base le speranze in una teoria dell’azione umana basata sulla libertà. Se siamo determinati da forze naturali — da meccanismi — è difficile immaginare che un individuo libero possa compiere scelte di ordine morale. Inoltre, benché l’Illuminismo fosse molto attento al ruolo della ragione e della cultura in tali scelte, non espresse alcun concetto generale riguardo alla profonda influenza esercitata dalle forze inconsce e dalle emozioni sulla mente di ogni essere umano (compresi quelli «dotati di ragione», e cioè le persone «colte»).

Quali che fossero le forme assunte nei vari periodi e nei vari luoghi, l’Illuminismo fu prevalentemente una concezione laica, che forgiò molte delle idee a fondamento della democrazia moderna. Esso, però, è finito, pur lasciandoci una eredità preziosa. Quelle idee subirono un primo, fiero colpo con gli attacchi che Hume rivolse sia al razionalismo sia alla concezione che associava il progresso umano alle scienze naturali. La principale carenza dell’Illuminismo fu l’incapacità di formulare una adeguata descrizione scientifica dell’individuo che si potesse affiancare alla descrizione dell’universo come macchina. Nell’ambito sociale, invece, il fallimento fu l’incapacità di andare oltre il concetto di una società composta di individui egoisti, votati al successo nel campo degli affari, con una visione superficiale dell’«umanesimo». Gli illuministi tentarono, sì, di offrire una prospettiva più ispirata, ma la loro scienza era una fisica meccanicistica, sprovvista di un corpo di dati e di idee che consentisse di collegare il mondo, la mente e la società secondo i criteri della ragione scientifica cui aspiravano. A dispetto di fallimenti e contraddizioni, tuttavia, l’Illuminismo ci ha lasciato grandi speranze riguardo al posto dell’individuo nella società.

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