“The dawn of everything”, the “always turn the other cheek” Christian commandment, the Anarchic International and immersive fiction

In their The dawn of everything, David Graeber and David Wengrow prove with archaeological evidence that, in a relatively distant past, there were big cities where people already knew and practiced agriculture, and where, in some cases for more than one millennium, decisions and rules about the commons were taken in open assemblies; thus, they also had good levels of equality in distribution of wealth and resources.

At some point in the book they ask themselves, and obviously their readers too, why, at least now, there is no archaeological evidence of later examples of such big societies which worked that way, and they make an hypothesis: that when three issues or “traits” of centralized accumulation of power and wealth and resources, which i won’t summarize here (read the book! 🙂), intertwine in a given society (like our present societies, since very long time), it’s very difficult to get back, or forward, to equality in distribution of power, work, wealth and resources.

They also emphasize that it is an hypothesis, and that more studies should be done to prove it more, or modify it, or extend it.

Anyway, i have an hypothesis about something that has probably worsened the situation: the Christian commandment to “always turn the other cheek” when anyone treats you bad: although i guess nobody can sincerely tell to really always behave like that, i think it’s a commandment which worked and still works a lot as a moral condemnation of some of the most effective actions any oppressed people can implement against their oppressors, and as a self-justification of fear of implementing it or, sometimes, even of thinking about it.

This bugs me a lot, also because i think that today it would be much easier to build equal societies, after an Anarchic International like this, i.e. after taking the lands to cultivate them without polluting, and the industrial facilities to shut down the polluting ones and build the sustainable alternatives while consuming less and better, which would also save our species and many others from the already ongoing decimation and the otherwise very probable future extinction caused by the current ecological catastrophe and-or the equally severe risks of the ongoing and future wars that the ecological catastrophe itself is very intertwined with: after an Anarchic International like this, in the liberated context it could foster (i.e. a global context of many federated little-to-medium sized communities where decisions and rules about the commons would be defined and refined in open assemblies, and thus we would have very good levels of equality in distribution of work, wealth and resources too, and where two or more communities would settle about exchanges of resources and products with inter-communal assemblies which could be made through the internet), tomorrow we would also have a hugely wider possibility to access and share all knowledge, and to build fictional worlds, with or without fictional stories, using open hardware and software produced by the communities, and to virtually live some time there, and to play and fight and love and build there, with or without other avatars of others’ selves, thus sublimating our dark sides in creativity and lashing them out in almost or totally harmless ways to an extent and with an immersivity that we, as a whole, never had before.

This is what arts have always been about, and tomorrow it would be just freely accessible for all.

Darwinismo e anarchia

Da La concezione anarchica del vivente,
di Jean-Jacques Kupiec (elèuthera, 2021)

Capitolo sesto
Risposta ad alcune obiezioni

[…]

6.4 Il darwinismo non è anarchico

Associare il darwinismo e l’anarchia nello stesso quadro concettuale potrebbe essere fonte di malintesi che vanno evitati. Una prima precisazione si impone. Quando si fa riferimento al darwinismo per spiegare i meccanismi di embriogenesi non si tratta evidentemente di trasferire il meccanismo preciso della selezione naturale così come viene descritto da Darwin. Si tratta piuttosto di recuperare in primis l’ontologia e la specifica causalità introdotte da Darwin, le quali forniscono un nuovo quadro generale per pensare l’ontogenesi. D’altronde, il meccanismo della selezione naturale non era del tutto precisato in Darwin, dal momento che all’epoca non erano completamente note le modalità della variazione. I biologi di solito fanno riferimento al darwinismo in senso lato quando traspongono la selezione naturale al di fuori del suo originale ambito di applicazione. Che sia nella teoria clonale degli anticorpi o nel darwinismo neuronale citati in precedenza, o ancora nel modello anarchico della differenziazione cellulare, il riferimento al darwinismo indica uno schema generale comune e non un’analogia dei meccanismi in senso stretto, cosa che sarebbe assurda. In ognuno di questi casi quel che si intende esattamente con variabilità e selezione è differente. Del resto, fin dall’inizio l’utilizzo del concetto di «selezione» da parte di Darwin era metaforico.

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L’ultimo capitolo di “La penultima verità”

Da La penultima verità,
di Philip K. Dick

Capitolo 29

All’una di quel pomeriggio Carol Tigh effettuò con successo l’operazione di trapianto del pancreas sul corpo ancora congelato di Maury Souza; poi, grazie alle risorse mediche più sofisticate del formicaio, ripristinò la circolazione sanguigna, il battito cardiaco e la respirazione del vecchio. Il suo cuore cominciò a pompare sangue da solo, e subito, con cautela e abilità, gli stimolatori artificiali delle funzioni vennero rimossi uno dopo l’altro.

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La rivoluzione messa ai voti

Da Mazurka blu. La strage del Diana, di Vincenzo Mantovani,
Seconda parte, cap. 45: La rivoluzione messa ai voti

Nell’estate del 1920, in seguito a un dissidio di carattere amministrativo e personale con Nella Giacomelli, Mario Perelli lasciò Umanità Nova[I]. Da una ditta genovese ricevette l’incarico di raccogliere inserzioni per una pubblicazione destinata alle Camere di commercio. Nonostante l’inesperienza, il lavoro gli andò bene. La giornata del neo-agente pubblicitario finiva spesso al Grand’Italia, il lussuoso ristorante della Galleria. Così, tra contratti e buone cene, Perelli passò il mese di agosto.

Io abitavo al rondò Cagnola [oggi piazza Firenze]. Da quelle parti c’è via Ruggero di Lauria, dove c’era l’officina dell’ingegner Romeo.

Una mattina sono a letto – non ho urgenza di andare a lavorare – quando sento un vociare, un tramestio. Mi alzo, vado giù. La Romeo s’è messa in sciopero. C’era una controversia che si trascinava da un certo tempo, credevano di risolverla così. Loro vanno alla Camera del lavoro, e io dietro. Pensavo: caso mai farò un servizio per Umanità Nova.

Vado là, e la discussione pare che si allarghi, perché viene convocato il consiglio delle leghe. Quelli della Romeo non si muovono. Io non vado neanche a mangiare.

Verso le quattro c’è la decisione: il consiglio generale delle leghe proclama l’occupazione delle fabbriche. Figurati, con la notizia calda! Attraverso Garlaschelli – il portinaio, che vendeva anche i giornali – cerco di avere informazioni precise. «Sì, ti assicuro, hanno deliberato così.» Via! Corro a Umanità Nova, porto la notizia.1

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