È che

È che non reggo più né l’enorme ingiustizia sociale globale, né questo orizzonte di estinzione a breve termine, né il mio essere colpevole di entrambi — meno di tant* altr*, ma comunque colpevole —, né il fatto che per venir fuori da tutto ciò, compresa la nostra colpevolezza, si propongono e si praticano come soluzioni soltanto cose che, sebbene di per sé giuste, hanno un’efficacia minimissima ed enormemente insufficiente rispetto all’entità dei problemi, e altre che in realtà perpetuano sia l’ingiustizia sociale sia quella ecologica; né reggo più il fatto che ormai reputo impraticabile ciò che se invece lo fosse ci permetterebbe forse davvero di uscirne, o comunque avrebbe un potenziale reale sufficiente a farlo: una internazionale per prendere dappertutto i mezzi di produzione, anche per spegnere quelli che inquinano, e le terre, anche per coltivarle senza inquinare, autogestendo tutto in un municipalismo a democrazia diretta. Lo reputo impraticabile siccome credo che a volerlo fare saremo sempre troppo poch*, ma proprio pochissim*, rispetto ai tempi stretti o forse già scaduti che abbiamo dal punto di vista ecologico, perché già cercare di convincere altr* della potenziale efficacia di quella internazionale è uno sforzo improbo, richiede di mettere in luce la falsità di tante apparenti soluzioni più facili e l’efficacia minimissima di tante altre e pare sempre di rompere le uova nei panieri altrui quando lo si fa, e perché non so come si potrebbe organizzare, fattivamente, un tentativo così.

Sono sempre più convinto che non ne usciremo, che ci estingueremo o saremo decimat*, principalmente e di gran lunga per colpa dei padroni e delle “classi dirigenti”, di cui comunque non mi va di fare il gioco spacciando per reali soluzioni false senza crederci, o ingigantendo l’efficacia in realtà minima di tante altre, perché altr* possano vivere nel macello in cui stiamo e arrivare alla mannaia con una maggiore serenità che, siccome consapevole, non sarebbe mai mia.

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